Esami e Concorsi

Esame d'avvocato: la soluzione al caso di penale presentato nel webinar del 20 aprile

L'ordinanza n. 5071 del 2021 che rimette gli atti alle sezioni Unite origina la seconda questione tratta nel seminario

di Nicola Graziano

Vi proponiamo il secondo caso dedicato al penale discusso nel webinair del organizzato Gruppo 24 Ore dal titolo «Il nuovo esame da avvocato - Le indicazioni pratiche per le prove», che si tenuto il 20 aprile scorso. Il seminario - a cui hanno partecipato 2.300 praticanti - è stata l'occasione per un confronto ampio sulla nuova formula di abilitazione e sulle prospettive della caterigoria. In un ottica di servizio riprendiamo la seconda questione - dedicata alla rilevanza del rituale di affiliazione come condotta di partecipazione ad una organizzazione mafiosa cosiddetta "storica" - per coloro i quali non hanno potuto seguire l'evento o per chi intende approfondire alcuni aspetti.

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CASO TEORICO-PRATICO DI DIRITTO PENALE
a cura di Nicola Graziano

IL QUESITO

Se il rituale di affiliazione di un soggetto a un’organizzazione mafiosa costituisca ex se un fatto idoneo a fondare un giudizio di responsabilità nei confronti dell’associato (quanto meno con riferimento all’operatività delle cosiddette "mafie storiche", strutturate e radicate territorialmente, atteso che il recesso è estremamente difficile, per non dire, nella pratica quasi impossibile – salvo i casi di collaborazione con la giustizia?

Gli strumenti per lo svolgimento

LO SCHEMA PER LA DISCUSSIONE DEL QUESITO

1) Inquadramento generale
La Cassazione Penale con la recentissima ordinanza del 9 febbraio 2021 n. 5071 rimette gli atti alle Sezioni Unite su di una questione estremamente dibattuta e precisamente sulla rilevanza del rituale di affiliazione ai fini della individuazione della condotta di partecipazione ad un'associazione a delinquere di stampo mafioso c.d. storica (nella fattispecie ‘Ndrangheta) ovvero se ad esso rituale devono necessariamente seguire specifici ed ulteriori atti esecutivi della condotta illecita programmata.
La soluzione della questione implica il riferimento a questioni di carattere generale quali quello del principio di tipicità in diritto penale che proprio in riferimento all'art. 416 bis c.p. pone problemi di esatta individuazione delle modalità in cui la partecipazione deve concretizzarsi e impone anche una analisi della struttura del reato associativo che possa così lumeggiare la questione.

A – LE NOZIONI TEORICHE

2) Le questioni di diritto: inquadramento generale del delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale; il metodo mafioso; la questione della esatta individuazione della condotta di partecipazione; (segue) la rilevanza penale dell'affiliazione rituale; (segue) il contributo al procacciamento e al recapito delle informazioni;


B – LA SOLUZIONE DEL CASO
3) Le risposte ai quesiti posti dal caso alla luce di Corte di cassazione, ordinanza del 9 febbraio 2021 n. 5071 .

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LA DISCUSSIONE DEL QUESITO

2) Le questioni di diritto sostanziale

Inquadramento generale del delitto di cui all’articolo 416-bis del codice penale

L’associazione di tipo mafioso è una figura criminosa introdotta con la legge n. 646/1982 per rimediare alla inadeguatezza dell’articolo 416 del Cp a reprimere il fenomeno criminoso di stampo mafioso.

Si tratta di un delitto contro l’ordine pubblico che è il bene giuridico protetto.

Si tratta di un concetto di difficile definizione e la dottrina e la giurisprudenza ne hanno cercato di dare una definizione unitaria ma il campo è diviso tra chi ne propone una nozione materiale (laddove l’ordine pubblico si identifica con la tranquillità pubblica, con la sicurezza ed il buon ordine collettivo) e quanti, viceversa, ne propongono una nozione ideale (l’ordine pubblico è l’ordine legale costituito con quel complesso di principi ed istituzioni fondamentali, dal cui rispetto dipenderebbe la sopravvivenza dell’ordinamento).

Accanto all’ordine pubblico vi sono altre beni giuridici protetti considerata, secondo i più, la plurioffensività del reato: sono in pericolo infatti anche l’ordine economico, la libera partecipazione dei cittadini alla vita politica ed altri interessi ancora.

Si tratta di un reato di pericolo presunto che si consuma appena si costituisce il vincolo associativo perché non è richiesto l’inizio dell’attività delittuosa in cui si esplica il reato. In altre parole costituito il vincolo associativo si attualizza il pericolo presunto perché riferito ai beni giuridici messi a repentaglio dalla futura realizzazione delle finalità programmatiche del sodalizio tipizzate dalla norma: l’ordine pubblico genericamente inteso per quanto riguarda i delitti orditi, la libertà di iniziativa economica in relazione all’acquisizione delle attività imprenditoriali, l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione con riferimento all’accaparramento di appalti e concessioni, la libertà di voto in ordine al condizionamento elettorale, e così via.

Va ricordato a tal proposito che i reati si distinguono in reati di danno e di pericolo a seconda della effettiva lesione al bene giuridico protetto o della semplice messa in pericolo o lesione potenziale del bene oggetto di tutela.

I reati di pericolo si distinguono in reati di pericolo concreto o effettivo da quelli di pericolo presunto o astratto. Nel primo caso la possibilità di verificazione di un evento temuto è elemento costitutivo della fattispecie nel senso che bisogna accertare la sua esistenza; mentre nei reati di pericolo presunto o astratto si presume, in base a regole di esperienza, che il compimento di certe azioni comporti l’insorgere del pericolo.

E’ un reato permanente nel senso che si protrae nel tempo fino allo scioglimento dell’associazione ovvero fino all’arresto dei soci o alla loro dissociazione.

Il dolo è specifico e consiste cioè nella coscienza e volontà di far parte dell’associazione per il perseguimento di uno dei fini indicati dalla norma.

Il metodo mafioso

Il cuore della fattispecie incriminatrice si rinviene nel comma III dell’art. 416 bis c.p., laddove il legislatore definisce il metodo e le finalità dell’associazione mafiosa, delineando così un reato associativo che si distingue dall’associazione per delinquere di cui all’articolo 416 del codice penale.

Le due fattispecie si distinguono, infatti, per le modalità utilizzate dagli associati e non solo per gli scopi che essi intendono perseguire. In altre parole nell’associazione di tipo mafioso si possono perseguire delitti ma anche realizzare attività lecite attraverso la intimidazione e l’insorgere nei terzi quella condizione di soggezione, che può derivare anche soltanto dalla conoscenza della pericolosità del sodalizio.

Vi è differenza anche dalla semplice compartecipazione criminosa di cui all’articolo 110 del codice penale in base alla natura dell’accordo. Nel secondo caso l’accordo è occasionale e accidentale per il compimento di uno o più reati determinati e si esaurisce con il compimento degli stessi. Nel primo caso invece, cioè nei delitti associativi, l’accordo criminoso è diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso che prevede e contiene accordi concernenti la realizzazione di singoli crimini e che permane dopo la realizzazione di uno di essi.

Da questo punto di vista si pone il problema della continuazione tra partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso e reati fine.

Secondo una prima tesi la continuazione va esclusa nel caso di programmazione dei reati fini al momento della costituzione del sodalizio perché altrimenti ci sarebbe una sorta di automatismo nel riconoscere la continuazione tra reati fine e associazione di tipo mafioso.

Sembra preferibile la tesi secondo cui il problema della configurabilità della continuazione tra reato associativo e reati fine è una questione di fatto collegata all’accertamento secondo cui un determinato soggetto, nell’ambito di un generico programma criminoso, abbia già individuato uno o più specifici fatti di reato da lui poi effettivamente commessi (vi è continuazione in tal caso).

Tornado al metodo è di tipo mafioso l’associazione i cui partecipanti “si avvalgono della forza d’intimidazione del vincolo associativo e dell’assoggettamento e omertà che ne deriva”.

Quanto alle finalità, esse spaziano dalla classica realizzazione di un programma intrinsecamente illecito, come la commissione di delitti o comunque l’ottenimento di profitti e vantaggi ingiusti e il condizionamento della libertà di voto, fino al perseguimento di obbiettivi in sé leciti, quali “acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici” o, ancora, “procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”.

Si tratta di un reato associativo a struttura mista perché per il perfezionamento della fattispecie, occorre un quid pluris rispetto alla sola organizzazione pluripersonale e al programma criminoso.

E precisamente la legge descrive il metodo mafioso con la espressione “si avvalgono della forza d’intimidazione del vincolo associativo”; cioè per integrare il tipo occorre riscontrare che il sodalizio abbia in qualche modo ma effettivamente dato prova di possedere tale forza e di essersene avvalso

In realtà, però, la norma si spinge oltre. E impone una nozione di “forza d’intimidazione del vincolo associativo” qualificata, cioè che nei fatti determina “assoggettamento e omertà” nei contesti ove opera il sodalizio. Ebbene, per “assoggettamento” si intende comunemente una condizione di soggezione psicologica in capo alle potenziali vittime ovvero altresì in una condizione di assoluta e invincibile coazione morale; mentre per omertà, si intende il rifiuto generalizzato di collaborare con le autorità statali, forze di polizia e magistratura.

La questione della esatta individuazione della condotta di partecipazione

Il comma I dell’articolo 416-bis del Cp così recita: “Chiunque fa parte di una associazione di tipo mafioso…”

Il comma II poi aggiunge: “Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione…”

Si pone il problema della esatta individuazione della rilevanza penale della condotta punibile per far fronte al deficit di determinatezza della fattispecie (il rinvio è all’articolo 1 del codice penale).

Secondo una prima teoria la condotta di partecipazione deve concretizzarsi in un contributo apprezzabile apportato dal singolo alla vita o al rafforzamento dell’associazione (cosiddetto “modello causale”). In tal caso si propende per un’interpretazione della fattispecie più conforme ai parametri costituzionali di materialità e offensività.

Altra teoria richiede l’inserimento del soggetto nell’organizzazione associativa, ovvero l’assunzione di un ruolo all’interno dell’associazione criminale (cosiddetto “modello organizzatorio”). Un simile approccio consente, infatti, di distinguere meglio la fattispecie partecipativa, per integrare la quale occorre entrare nell’associazione e diventarne parte, da quei contributi che, ancorché apprezzabili dal punto di vista causale, sono posti in essere da soggetti che rimangono estranei al sodalizio (cosiddetto “concorso esterno”, vedi infra).

Si deve, invece, alla sentenza delle sezioni Unite Mannino del 12 luglio 2005 il merito di aver elaborato una concezione della partecipazione associativa meno generica e ambigua e si è precisato che può definirsi partecipe «colui che si trovi in un rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato prende parte al fenomeno associativo».

(segue) La rilevanza penale dell’affiliazione rituale

Mentre nelle associazioni c.d. aperte – che prescindono cioè da procedure formali di ingresso nella struttura organizzativa – l’individuazione della soglia minima di punibilità della condotta associativa postula l’avvenuto compimento di contributi materiali, indicativi dell’appartenenza del soggetto al sodalizio, quando si tratta di organizzazioni di tipo mafioso che osservano protocolli e rituali di iniziazione, la partecipazione punibile viene sovente fatta coincidere con il mero conferimento della qualifica di associato, accertabile attraverso la prova del cosiddetto “giuramento di mafia”.

Si dice che nella procedura di iniziazione nelle organizzazioni mafiose e nella conseguente assunzione della qualifica di uomo d’onore è immanente un contributo causale all’associazione.

E’ questo il terreno sul quale si sviluppa quella concezione c.d. mista della partecipazione associativa che tenta di coniugare la prospettiva organizzatoria e quella causale, facendo leva sulla rilevanza eziologica riconoscibile anche nella sola affiliazione rituale.

Ora, però all’iniziale giuramento potrebbe non seguire l’effettiva assunzione di un ruolo e quindi una concreta attivazione del soggetto a favore del gruppo criminale. In questi casi l’incriminazione del fatto iniziatico di per sé considerato significa sanzionare, tra l’altro con pene di assoluto rigore, una mera potenzialità operativa del soggetto.

In questo contesto si pone la tesi della mera adesione al sodalizio secondo cui il reato si consuma nel momento in cui il soggetto entra a far parte dell’organizzazione criminale senza che sia necessario il compimento da parte dello stesso di specifici atti esecutivi della condotta illecita programmata perché la messa a disposizione accresce le potenzialità operative e la capacità di intimidazione e infiltrazione del sodalizio nel tessuto sociale.

Si contrappone la tesi che non ritiene la mera affiliazione di per sé sufficiente a fondare la responsabilità (vedi infra nella motivazione della ordinanza di rimessione).

L’ordinanza di rimessione n. 5071/2021 (vedi infra).

(segue) Il contributo al procacciamento e al recapito delle informazioni

La condotta di procacciare e recapitare informazioni può essere qualificata come partecipazione piena?

E’ partecipe chi raccoglie informazioni in un momento di fibrillazione delle attività criminali del sodalizio per attuare ritorsioni contro esponenti di sodalizi avversari e per stringere alleanze con altre cosche.

Il recapito delle informazioni esclude la rilevanza partecipativa se trattasi di attività episodica o comunque sporadica in quanto essa può essere funzionale al governo di singole contingenze.

La contiguità alle associazioni di tipo mafioso (il cosiddetto "concorso esterno").

Vi possono essere contributi che, ancorché apprezzabili dal punto di vista causale, sono posti in essere da soggetti che rimangono estranei al sodalizio.

Vi sono i c.d. colletti bianchi che hanno contiguità con le associazioni di tipo mafioso.

A lungo dottrina e giurisprudenza hanno discusso in merito alla configurabilità del concorso esterno nel reato associativo, ritenendo che il soggetto estraneo al vincolo associativo potesse rispondere ex articolo 110 del Cp esclusivamente per i singoli reati fine, o, al più, a titolo di concorso morale nel reato associativo (secondo il noto caso di scuola del padre che istiga il figlio ad aderire a un’associazione criminale).

Una tesi risalente, ma ancora seguita in dottrina, affermava infatti che non è possibile tenere condotte che materialmente e concretamente agevolino la vita e il funzionamento dell’associazione senza per ciò stesso rivestire la qualifica di partecipe all’associazione.

La prima sentenza ad ammettere la configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa è stata la nota sentenza Demitry (Cassazione Penale, sezioni Unite, 05 ottobre 1994 n. 16). Tale pronuncia, per la prima volta, distingueva nettamente l’associato dal concorrente esterno, in quanto il primo era stabilmente incardinato nell’associazione, intendeva farne parte ed era accettato come tale dagli affiliati, mentre il concorrente non intendeva far parte dell’associazione e non era riconosciuto come tale dagli affiliati, ma forniva un contributo atipico e occasionale all’esistenza e al rafforzamento dell’associazione criminale. Il contributo del concorrente esterno, sottolineava la sentenza Demitry, interveniva in un momento di crisi, di “fibrillazione” dell’associazione e cessava nel momento in cui la vita dell’associazione tornava alla normalità. Il dolo era ritenuto generico, e veniva ricondotto alla consapevolezza e volontà dell’efficienza causale del contributo apportato rispetto al conseguimento degli scopi dell’organizzazione.

Inoltre vi è stata Cassazione a sezioni Unite (Cassazione penale, sezioni Unite n. 22327 del 2003, Carnevale) che ammetteva la configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa qualificando il concorrente esterno come colui che, privo dell’affectio societatis sceleris, non essendo inserito nella struttura del sodalizio.

Si segnala la successiva pronuncia Mannino (sezioni Unite 12 luglio 2005 n.33748, Mannino), secondo la quale il concorrente esterno era colui che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa e dunque privo dell’affectio societatis, forniva tuttavia un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario, dotato di effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative dell’associazione

3) Le questioni di diritto processuale

Vedi infra nella esposizione delle motivazioni a base della sentenza circa i problemi della prova della affiliazione.

Se vi è la prova di una investitura formale il Pm è sollevato dall’onere di provare anche il compimento di condotte associative.

Se non vi è la prova il Pm è tenuto ad adempiere all’onere di provare il compimento di una o più attività significative nell’interesse dell’associazione criminale.

B – LA SOLUZIONE DEL CASO

La soluzione del caso è rinvenibile nella recentissima decisione della Corte Suprema di cassazione, sezione I, ordinanza del 9 febbraio 2021 n. 5071.

 

1) Riferimenti normativi: articolo 1 del codice penale; articolo 416 -bis del Cp.

 

2) Le possibili interpretazioni

Il caso in esame

Secondo il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, gli esiti di alcune attività di intercettazione facevano emergere le modalità rituali con cui Tizio e Caio erano stati affiliati al locale di Sant'Eufemia d'Aspromonte, che costituiva un'articolazione territoriale della cosca Alvaro di Sinopoli, nel corso di una cerimonia svoltasi con le modalità rituali tipiche della ‘Ndrangheta. Queste captazioni, al contempo, consentivano di affermare l'esistenza di rapporti consortili tra i ricorrenti e i vertici del sodalizio aspromontano - rappresentati, nell'occasione, da Mevio, che aveva presieduto il loro battesimo ‘ndranghetista, al quale era presente anche il padre degli indagati, Tizione -, come conseguenza della consapevolezza degli indagati di essere stati inseriti nel locale di Sant'Eufemia d'Aspromonte, rafforzando, per il solo fatto di essere stati affiliati, le potenzialità operative della stessa consorteria.

Tuttavia, rispetto a questo nucleo probatorio essenziale, il Collegio si è posto un problema ermeneutico preliminare, per la cui risoluzione si ritiene indispensabile l'intervento chiarificatore delle Sezioni unite della Corte di cassazione, costituito dall'idoneità dell'affiliazione rituale al locale di ‘ndrangheta di Sant'Eufemia d'Aspromonte, non accompagnata da ulteriori indicatori fattuali, a fondare la conferma del giudizio di gravità indiziaria espresso dal Tribunale del riesame di Reggio Calabria nei confronti di Tizio e Caio.

Tale problematica, a sua volta, postula la risoluzione di una questione ermeneutica più generale, che affonda le sue radici nell'opzione di politica criminale sottesa alla formulazione dell'articolo 416-bis del Cp, relativa alla possibilità che l'affiliazione, svolta con modalità rituali, a un'associazione di tipo mafioso riconducibile al novero delle "mafie storiche" - come la ‘ndrangheta, della cui operatività si controverte in questa sede, ovvero Cosa Nostra, la Camorra e la Sacra Corona Unita -, costituisca un fatto, di per se stesso, idoneo a fondare un giudizio di responsabilità in ordine alla condotta di partecipazione del soggetto affiliato alla consorteria.

La tesi che considera la mera affiliazione come fatto idoneo a fondare la responsabilità

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, l'affiliazione a un'associazione di tipo mafioso costituisce fatto idoneo a fondare un giudizio di responsabilità, atteso che il reato di cui all'articolo 416-bis del Cp si consuma nel momento in cui il soggetto aderisce a una siffatta consorteria, senza che sia necessario il compimento di specifici e ulteriori atti esecutivi della condotta illecita programmata. La fattispecie in esame, infatti, prefigura un reato di pericolo presunto, con la conseguenza che, per integrare l'offesa all'ordine pubblico, è sufficiente l'adesione all'associazione di tipo mafioso, che, postulando la disponibilità incondizionata alle esigenze strategiche della consorteria, a maggior ragione se ci si riferisce a una "mafia storica", appare, di per se stessa, idonea ad accrescere le potenzialità operative e intimidatorie del sodalizio.

Basti, in proposito, richiamare il seguente principio di diritto: "Il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si consuma nel momento in cui il soggetto entra a far parte dell'organizzazione criminale, senza che sia necessario il compimento, da parte dello stesso, di specifici atti esecutivi della condotta illecita programmata, poichè, trattandosi di reato di pericolo presunto, per integrare l'offesa all'ordine pubblico è sufficiente la dichiarata adesione al sodalizio, con la c.d. "messa a disposizione", che è di per sè idonea a rafforzare il proposito criminoso degli altri associati e ad accrescere le potenzialità operative e la capacità di intimidazione e di infiltrazione del sodalizio nel tessuto sociale" (Sezioni V, n. 27672 del 3 giugno 2019, Geraci, Rv. 276897-01).

Si muove, a ben vedere, nella stessa direzione ermeneutica l'arresto giurisprudenziale, maturato in un diverso contesto sezionale, secondo cui ai "fini dell'integrazione della condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, non è necessario che il membro del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi del programma criminoso ovvero di altre condotte idonee a rafforzarne la struttura operativa, essendo sufficiente che lo stesso assuma o gli venga riconosciuto il ruolo di componente del gruppo criminale" (sezione II, n. 18559 del 13/03/2019, Zindato, Rv. 276122-01).

 

La tesi che non ritiene la mera affiliazione di per sé sufficiente a fondare la responsabilità

All'orientamento ermeneutico sopra richiamato se ne contrappone un altro, che non ritiene l'affiliazione a un'associazione di tipo mafioso, di per sè sola, sufficiente a fondare un giudizio di responsabilità nei confronti dell'imputato, richiedendo la prova del compimento di specifici e ulteriori atti esecutivi della condotta illecita programmata.

Rappresenta in modo esemplare questo orientamento ermeneutico, che ritiene indispensabile, per la formulazione di un giudizio di responsabilità nei confronti dell'imputato del reato di cui all'articolo 416-bis del Cp, l'acquisizione di elementi concreti e specifici, rivelatori dei suo ruolo attivo nell'associazione di tipo mafioso, il principio di diritto secondo cui: "Ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione ad un'associazione di tipo mafioso, l'investitura formale o la commissione di reati-fine funzionali agli interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica, ma unitaria, degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all'interno dello stesso" (sezione V, n. 4864 del 17 ottobre 2016, Di Marco, Rv. 269207-01).

Analogo rilievo ermeneutico deve essere attribuito all'arresto giurisprudenziale, maturato in un differente ambito sezionale, con specifico riferimento al contesto ‘ndranghetista che si sta considerando, secondo cui: "Ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione all'associazione di tipo mafioso, l'affiliazione rituale può non essere sufficiente laddove alla stessa non si correlino ulteriori concreti indicatori fattuali rivelatori dello stabile inserimento del soggetto nel sodalizio con un ruolo attivo" (sezione 1, n. 55359 del 17 giugno 2016, Pesce, Rv. 269040-01).

La posizione problematica nella ordinanza di rimessione

A fronte dei due orientamenti giurisprudenziali, rispetto ai quali sembra difficile trovare una soluzione compromissoria, idonea a coniugare il rispetto del modello di tipicità formale del nostro sistema penale con le esigenze di garanzia individuale, connesse all'applicazione di una fattispecie, che si connota per la sua, in una certa misura, "atipica" o "incompiuta" tipicità.

E’ la stessa formulazione della fattispecie di cui all'articolo 416-bis del Cp - quantomeno con riferimento alle "mafie storiche" - a spingere l'interprete nella direzione di una marcata caratterizzazione territoriale e strutturale del sodalizio mafioso, nella misura in cui tale previsione delinea i contorni di una consorteria tendenzialmente orientata nel senso di un controllo illecito e monopolistico delle attività produttive delle aree geografiche in cui è presente, tale da delineare i confini applicativi di un delitto ancorato alla valutazione concreta della condotta eversiva e antigiuridica dei suoi affiliati.

Non può, in proposito, non rilevarsi che lo scopo preminente dell'associazione di tipo mafioso, secondo la formulazione dell'articolo 416-bis del Cp, comma 3, è quello di realizzare - attraverso la forza di intimidazione del vincolo associativo e la condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivano - "in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti (...)". L'associazione, in questa prospettiva normativa, orientata teleologicamente, punta ad aumentare la sua sfera di influenza sulle attività produttive del territorio dove opera ed esercita i suoi poteri di supremazia delinquenziale, acquisendo in tale contesto posizioni economiche di oligopolio o addirittura di monopolio, che, in ultima analisi, costituiscono l'obiettivo dell'organizzazione mafiosa, secondo quella che è la previsione dell'articolo 416-bis del Cp.

Tuttavia, questa caratterizzazione, marcatamente territoriale e strutturale, del sodalizio mafioso, inevitabilmente, allontana la fattispecie di cui all'art. 416-bis c.p. dal modello di legalità formale proprio della dogmatica tradizionale, introducendo un modello di tipicità "atipica" o "incompiuta", rispetto al quale la partecipazione associativa è sanzionata in quanto tale, con strumenti normativi che, per un verso, recano con sè la necessità di un ancoramento rigoroso alle emergenze probatorie, per altro verso, comportano un'attenzione costante ai principi costituzionali, il cui rispetto deve costituire un parametro ineludibile per l'operatore del diritto.

Da queste, non del tutto risolte, questioni ermeneutiche trae origine la necessità di un intervento chiarificatore delle Sezioni unite, essendo indispensabile comprendere se l'affiliazione di un soggetto a un'organizzazione mafiosa costituisca ex se un fatto idoneo a fondare un giudizio di responsabilità nei confronti dell'associato, quanto meno con riferimento all'operatività delle "mafie storiche", strutturate e radicate territorialmente - nelle quali il recesso è estremamente difficile, per non dire, nella pratica, impossibile, salvo i casi di collaborazione con la giustizia -, atteso che la disposizione dell'articolo  416-bis del Cp, comma 1, si limita a prevedere la punizione di "chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone (...)", senza fornire alcuna indicazione specifica sulle modalità con cui tale partecipazione si deve concretizzare, la cui individuazione sembrerebbe estranea al modello di tipicità recepito dalla fattispecie in esame.

D'altra parte, se si ritiene che la partecipazione associativa debba essere integrata da elementi ulteriori rispetto alla mera affiliazione, estranei alla previsione dell'art. 416-bis c.p., occorrerà allora comprendere attraverso quale percorso ermeneutico si debba o si possa giungere all'individuazione di tali indicatori consortili, tenendo presenti i limiti che il modello di tipicità formale vigente nel nostro sistema penale pone all'operatività di ogni forma di "creazionismo giurisprudenziale" e la posizione della giurisprudenza di legittimità nell'ambito dell'ordinamento interno, contrassegnato dal valore non vincolante del precedente, relativa all'efficacia persuasiva, per la profondità e l'accuratezza dei suoi argomenti, ma non impositiva, al di fuori dei limitati ambiti applicativi di cui all'articolo 627 del Cpp, dell'interpretazione giurisprudenziale, cui compete soltanto una funzione dichiarativa ed esplicativa della norma di legge (Corte costituzionale, sentenza n. 25 del 2019).

Nè ci aiuta in questa complessa operazione di ermeneutica processuale la precedente e, tuttora, insuperata giurisprudenza delle Sezioni unite, secondo cui il partecipe di un'organizzazione mafiosa deve essere definito, in senso dinamico e funzionale, come "colui che, risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell'associazione mafiosa, non solo "è" ma "fa parte" della (...) stessa: locuzione questa da intendersi non in senso statico, come mera acquisizione di uno status, bensì in senso dinamico e funzionalistico, con riferimento all'effettivo ruolo in cui si è immessi e ai compiti che si è vincolati a svolgere perché l'associazione raggiunga i suoi scopi, restando a disposizione per le attività organizzate della medesima" (sezioni Unite, n. 33478 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231671-01). Le sezioni Unite, invero, non prendono espressamente posizione sul significato da attribuire all'affiliazione a una consorteria mafiosa, pur ritenendo tale situazione rituale un indicatore, dotato di elevata sintomaticità, della partecipazione associativa, evidenziando che, sul piano probatorio, rilevano "rilevano tutti gli indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi il nucleo essenziale della condotta partecipativa, e cioè la stabile compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo dei sodalizio (...)". Si deve trattare, in ogni caso, di indicatori "gravi e precisi (tra i quali le prassi giurisprudenziali hanno individuato, ad esempio, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di "osservazione" e "prova", l'affiliazione rituale, l'investitura della qualifica di "uomo d'onore", la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, variegati e però significativi "fatta concludentia") dai quali sia lecito dedurre, senza alcun automatismo probatorio, la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo nonchè della duratura, e sempre utilizzabile, "messa a disposizione" della persona per ogni attività del sodalizio criminoso (...)" (sezioni Unite, n. 33478 del 12/07/2005, Mannino, cit.).

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