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Fallimento: chiusura della procedura e legittimazione processuale del fallito tornato in bonis

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di Rossana Mininno

La sentenza che dichiara il fallimento «priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni» (articolo 42, primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267), amministrazione demandata, unitamente alla gestione dei rapporti dedotti in giudizio, al curatore, il quale esercita dette attività «sotto la sorveglianza del giudice delegato e del tribunale fallimentare» (Cass. civ., Sez. II, 17 giugno 2010, n. 14624).

Altro effetto prodotto dalla declaratoria del fallimento consiste nella perdita, da parte del fallito e a tutela della massa dei creditori (cfr. Cass. civ., Sez. V, 9 marzo 2011, n. 5571), della capacità processuale relativamente ai rapporti di pertinenza fallimentare.

La perdita della capacità processuale «ha carattere relativo e può essere eccepita dal solo curatore, salvo che la curatela abbia dimostrato il suo interesse per il rapporto dedotto in lite, nel qual caso il difetto di legittimazione processuale del fallito assume carattere assoluto ed è perciò opponibile da chiunque e rilevabile anche d'ufficio» (Cass. civ., Sez. V, 9 marzo 2011, n. 5571. Conforme Cass. civ., Sez. lav., 6 giugno 2017, n. 13991).

Il creditore, stante il carattere relativo (e non assoluto) della perdita della capacità processuale, «può convenire in giudizio il fallito personalmente, per chiedere nei suoi confronti la condanna al pagamento di un credito estraneo alla procedura fallimentare, da far valere subordinatamente al ritorno «in bonis» del convenuto» (Cass. civ., Sez. III, 5 febbraio 2014, n. 2608).

La perdita della capacità processuale persiste fino alla chiusura della procedura, la quale determina la cessazione degli organi fallimentari e il rientro del fallito nella disponibilità del suo patrimonio e, conseguentemente, «fa venir meno la legittimazione processuale del curatore» (Cass. civ., Sez. II, 26 giugno 2019, n. 17149): nei procedimenti che risultino, all'atto della chiusura della procedura fallimentare, ancora pendenti al curatore subentra il fallito tornato in bonis (Cass. civ., Sez. I, 12 ottobre 2018, n. 25603).

Per quanto attiene, in particolare, ai giudizi di cassazione, la legittimazione processuale del curatore sussiste «se, al momento della notifica del ricorso, il decreto di chiusura del fallimento non sia ancora definitivo» (Cass. civ., Sez. I, 14 febbraio 2019, n. 4514).

Con la sentenza n. 16538 del 31 luglio 2020 i Giudici della Seconda Sezione civile della Corte di cassazione hanno ribadito che la chiusura della procedura fallimentare, «determinando la cessazione degli organi fallimentari e il rientro del fallito nella disponibilità del suo patrimonio, fa venir meno la legittimazione processuale del curatore, comportando il subentrare dello stesso fallito tornato in bonis al curatore nei procedimenti pendenti all'atto della chiusura; tale principio, tuttavia, non vale per il giudizio di cassazione, che è caratterizzato dall'impulso d'ufficio ed al quale non sono perciò applicabili le norme di cui agli artt. 299 e 300 cod. proc. cvi., sicché non è consentito il deposito, ai sensi dell'art. 372 cod. proc. civ., di documenti attestanti la chiusura del fallimento»

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