Civile

Fallimento, l’azione del condominio per la restituzione delle parti comuni

La Cassazione, sentenza n. 18003 depositata oggi, ricorda che ciascun condomino ha una autonoma legittimazione individuale

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di Francesco Machina Grifeo

La Cassazione fa chiarezza sulla domanda di rivendicazione o restituzione (ex art. 103 l. fall.) proposta da un Condominio su alcuni immobili acquisiti all’attivo di una Fallimento di una cooperativa edilizia. La Cassazione, sentenza n. 18003, ricorda che nel giudizio di rivendicazione contro la procedura concorsuale volto a ottenere statuizioni relative alla titolarità e alla restituzione di parti comuni dell’edificio condominiale, ciascun condomino ha un’autonoma legittimazione individuale - concorrente e alternativa rispetto a quella dell’amministratore - di agire e resistere a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota”, sicché è ammissibile l’opposizione dei condomini che, pur non avendo proposto distinte domande nel procedimento di verificazione dello stato passivo, intendano evitare gli effetti sfavorevoli del decreto pronunciato nei confronti del condominio.

Ha perciò errato il tribunale di Roma nel dichiarare inammissibile l’opposizione allo stato passivo, sia per non aver riconosciuto la legittimazione a impugnare dei singoli condomini, sia per aver sindacato incidentalmente il vizio di annullabilità della delibera di autorizzazione assembleare, sia per non aver comunque concesso il termine per la regolarizzazione ai sensi dell’art. 182 c.p.c..

La II Sezione civile ricorda infatti che l’amministratore di condominio può esperire l’azione di rivendicazione diretta a ottenere contro la procedura di liquidazione giudiziale statuizioni relative alla titolarità e alla restituzione di parti comuni, “sia pure, trattandosi di azione che esula dal novero degli atti meramente conservativi (al cui compimento l’amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1130 n. 4 c.c.), previa necessaria autorizzazione dell’assemblea, ex art. 1131 comma 1, c.c., adottata con la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, comma 4, dello stesso codice”.

Nel caso in cui invece l’amministratore abbia proposto l’azione di rivendicazione delle cose comuni senza la (preventiva) necessaria autorizzazione dell’assemblea, “quest’ultima può comunque ratificarne l’operato e sanare retroattivamente la costituzione processuale, dovendo a tal fine il giudice assegnare il termine ex art. 182 c.p.c. per regolarizzare il difetto di rappresentanza”.

Allorché poi l’amministratore abbia esperito un’azione concernente le parti comuni dell’edificio, ma eccedente dai limiti delle attribuzioni stabilite dall’art. 1130 c.c., previa autorizzazione dell’assemblea, il giudice non può accertare incidentalmente che la deliberazione autorizzativa non è stata approvata con la maggioranza prevista (art. 1136, comma 4, c.c.), in quanto una delibera adottata con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge è annullabile e perciò, ove non impugnata dai condomini assenti, dissenzienti o astenuti nel termine di trenta giorni (previsto dall’art. 1137 c.c.), è valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio.

Dunque, sino a quando la delibera di autorizzazione alla lite annullabile non sia annullata (quale conseguenza dell’esercizio di un potere di parte e della necessaria pronuncia di una sentenza costitutiva), il giudice deve ritenere legittimamente instaurato il contraddittorio, in quanto l’atto annullabile produce gli effetti di cui è capace finché non sia annullato e, ove sia decorso il termine per l’esercizio dell’azione di annullamento, esso resta definitivamente e automaticamente valido.

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