Penale

False dichiarazioni, concorso nel reato se il visto è infedele

L’invio telematico di false dichiarazioni Iva con apposizione di un visto di conformità mendace omettendo qualsivoglia controllo è sintomatico del contributo del commercialista al compimento alle attività illecite del cliente. Pertanto è configurabile una responsabilità a titolo di concorso nel reato.

A fornire questa rigorosa interpretazione, ancorché relativa alla fase cautelare, è la Corte di cassazione, con la sentenza 26089 depositata ieri. Nell’ambito di un complesso procedimento penale a carico di diversi indagati per vari reati, tra i quali la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e l’indebita compensazione di crediti inesistenti, era disposto il sequestro anche nei confronti di un commercialista nella qualità di consulente fiscale di alcune società riconducibili a contribuenti indagati.

In sintesi alcune imprese avevano presentato la dichiarazione Iva con dati sugli acquisti non veritieri maturando numerosi crediti, successivamente compensati in modo indebito.

Il professionista impugnava la misura cautelare, ma il tribunale del riesame ne confermava la legittimità.

Avverso tale decisione era proposto ricorso per cassazione.

Secondo la tesi difensiva, il tribunale del riesame avrebbe, tra l’altro, errato nel ritenere sussistente il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. Infatti nell’anno di svolgimento degli illeciti (2014) era in vigore la precedente versione del delitto in base alla quale occorreva, oltre ai mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l'accertamento e il superamento della soglia di imposta evasa, anche la falsa rappresentazione delle scritture contabili.

Nella specie tali falsità erano mancanti.

La Suprema corte ha rigettato il ricorso. I giudici di legittimità hanno precisato che la valutazione, stante l’oggetto del giudizio (misura cautelare) riguardava l’eventuale sussistenza del cosiddetto “fumus commissi delicti” e non quindi la provata colpevolezza del ricorrente.

Nella specie, il commercialista aveva fornito un apprezzabile contributo al compimento delle attività illecite in quanto lo studio professionale aveva provveduto all’invio telematico delle false dichiarazioni apponendovi il visto di conformità di sicuro mendace.

Il professionista incaricato aveva omesso qualsivoglia controllo, non trattenendo peraltro copia della documentazione contabile.

Alla luce di tali circostanze, era corretta la decisione del Tribunale del riesame, di ritenere sussistente il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici.

Infatti era ragionevolmente ravvisabile una infedele asseverazione dei dati qualificabile come mezzo fraudolento idoneo a ostacolare l’accertamento e a indurre in errore l'amministrazione. Inoltre erano stati indicati nelle dichiarazioni Iva elementi passivi fittizi.

Infine, gli illeciti si fondavano su una mendace esposizione dei dati economici nei bilanci e nelle scritture contabili delle società interessate. Da qui il superamento dell'eccezione difensiva sull'assenza della falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie, richiesta dalla fattispecie penale prevista al tempo della commissione degli illeciti.

La pronuncia è certamente molto rigorosa anche se va considerato che concerne la fase cautelare.

In ogni caso deve far riflettere che in presenza di dichiarazioni Iva con dati non veritieri che determinano crediti Iva non spettanti poi successivamente compensati, secondo la Cassazione, è ipotizzabile il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici se vi è un visto di conformità infedele.

L’invio telematico delle dichiarazioni da parte del commercialista unitamente all’apposizione dei citati visti di conformità infedeli contribuiscono a ipotizzare il concorso del professionista nel delitto commesso dal cliente.

A nulla rileva, peraltro, che il consulente non abbia tratto alcun specifico beneficio dalle asserite evasioni delle imprese.

Da evidenziare, in ultimo, che a seguito delle modifiche in vigore dallo scorso 25 dicembre, la dichiarazione fraudolenta è punita con la pena massima fino a otto anni.

Corte di cassazione - Sentenza 26089/20202

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