Fuga dal virus e dalle misure restrittive: la scarsa efficacia delle sanzioni penali
In fuga dal virus nelle “zone protette” e dalle misure estese a tutto il territorio nazionale con i Dpcm 8 marzo e 9 marzo, tra psicosi collettiva e italica insofferenza alle regole (anche se di salute pubblica).
Chi è scappato dalle "zone rosse" lombarde e venete: cosa rischia
Già nelle scorse settimane, in vigenza delle prime “zone rosse” (lombarde e veneta) istituite col Dpcm del 23 febbraio, attuativo del coevo decreto legge n. 6/2020, si sono moltiplicate le notizie di violazioni alle disposizioni governative impartite per il contenimento del contagio da COVID-19: alcuni lodigiani sono scappati dalla zona-focolaio per raggiungere le loro famiglie al sud; altri hanno tentato di forzare i controlli dei checkpoint per portare materiali ad amici o parenti; altri ancora, improvvidamente, hanno eluso la quarantena fiduciaria entrando in contatto con altre persone.
Le misure rafforzate su tutto il territorio nazionale
Più di recente con l’identificazione dell’«area di contenimento rafforzato» all’intera regione Lombardia e alle quattordici province del nord sono aumentati i tentativi di fuga dalla «zona arancione» (iniziati nottetempo persino prima dell’entrata in vigore del Dpcm 8 marzo 2020, del quale improvvidamente sono state fatte circolate le bozze, innescando così un effetto panico a catena che ha sovvertito la ratio stessa delle nuove restrizioni). Da ultimo, con la “blindatura” totale dell’intero Paese (Dpcm 9 marzo 2020), il tema delle conseguenze penali connesse alla violazione delle stringenti misure di contenimento - assai invasive ma inevitabili, in ragione della rapidissima progressione della curva del contagio - riguarda ormai tutti, non più soltanto gli abitanti di alcuni territori. E inesorabilmente, a fronte di comportamenti irresponsabili, è affidata al diritto penale (e alle forze di polizia) la tenuta delle restrizioni previste dal Governo a tutela dei nostri “corpi”.
Il Dl “Coronavirus”: illecito penale ad hoc
Il decreto legge n. 6/2020, entrato in vigore il 23 febbraio scorso e convertito, a tempo di record, dalla legge n. 13/2020, è il principale provvedimento varato dall’Esecutivo nella prima fase del piano di interventi per fronteggiare l’epidemia da COVID-19.
L’articolo 3, comma 4, del decreto legge n. 6/2020 contiene un illecito penale ad hoc, sanzionato ai sensi dell’articolo 650 del Cp, in caso di violazioni alle misure di contenimento ivi previste: contravvenzione che - come vedremo - di per sé è un’arma spuntata; tuttavia a essa possono aggiungersi ben più gravi titoli delittuosi (dolosi e colposi).
La scarsa efficacia del presidio sanzionatorio:
Com'è evidente, la blanda sanzione (pecuniaria) e, soprattutto, l'agevole possibilità, a bassissimo "prezzo", di estinguere il reato (che, con l'oblazione, di fatto si trasforma in illecito amministrativo) privano l'incriminazione in disamina di qualsivoglia efficacia deterrente (salva l'eventualità della contestazione di altri più gravi delitti, ricorrendone i presupposti: quale l'epidemia colposa o il reato - doloso - di cui all'articolo 495 del Cp).
La forte spinta emotivo-psicologica che può animare il contravventore, magari per paura, a violare impulsivamente le misure di contenimento impostegli, per le più svariate ragioni, non trova alcuna seria "controspinta" dissuasiva di fronte a una minaccia di pena (solo pecuniaria per gli incensurati) che, in fin dei conti, è più bassa di una violazione al Cds. E ciò in barba al preminente interesse statuale all'immediato rispetto delle misure emergenziali che, piacciano o meno, sono state varate - in regime di sospensione di garanzie costituzionali - in funzione di contenimento dell'ingravescente contagio epidemico in atto, quindi per preminenti (e non sindacabili dal singolo) ragioni di sanità pubblica.