Penale

Furto in casa, la recidiva reiterata non ferma lo sconto di pena in caso di ravvedimento

La Consulta, sentenza n. 56 depositata oggi, ha dichiarato l’articolo 69, co. 4, Cp illegittimo nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza della circostanza attenuante pen. sulla recidiva reiterata

di Francesco Machina Grifeo

Nel furto in abitazione, è illegittimo il divieto di prevalenza dell’attenuante premiale sulla recidiva reiterata, in caso di ravvedimento post delictum. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza numero 56, depositata oggi.

La Consulta ha così dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza dell’attenuante della collaborazione del reo, prevista dall’articolo 625-bis dello stesso codice, sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata.

La questione è stata sollevata dal Tribunale di Perugia nel corso di un giudizio per furto in abitazione. Nel caso affrontato, l’imputato era scappato al sopraggiungere del proprietario; fermato dagli agenti poco dopo era stato trovato in possesso di nove euro, della chiave del portone principale, di sei monete da venti lire, di altre due duecento lire, di una moneta da cinque centesimi di lire, di una moneta da due dracme, oltre che di una pinzetta di piccole dimensioni e di forbici da elettricista. Nel corso dell’interrogatorio, reso in occasione dell’udienza di convalida dell’arresto, l’imputato ammetteva l’addebito e consentiva l’identificazione del correo, indicandone il nome e il cognome, affermando che si erano accordati per commettere il furto.

Richiamate le numerose declaratorie di illegittimità costituzionale del quarto comma dell’articolo 69, la Corte ha accolto la censura, osservando che il divieto di prevalenza in questione, applicato all’attenuante di tipo premiale di cui all’articolo 625-bis, «sterilizza la ratio incentivante della disposizione, accorda una rilevanza insuperabile alla precedente condotta del reo ed esclude ogni incidenza della collaborazione sulla determinazione in concreto della pena, pur a fronte della dissociazione dal contesto criminale e del possibile pericolo di ritorsioni personali e familiari».

Infatti, quel divieto «impedisce all’art. 625-bis cod. pen. di produrre pienamente i suoi effetti, facendo venir meno l’incentivo posto dal legislatore e, contestualmente, irrigidendo la presunzione di capacità a delinquere determinata dalla recidiva reiterata, a discapito degli indici che si ricavano dalla condotta collaborativa tenuta successivamente».

L’intervento legislativo del 2017, prosegue la decisione, nel momento in cui ha ritenuto di comprimere il potere del giudice di parametrare nella loro pienezza le circostanze oggettive e soggettive del reato, ha fatto salva l’attenuante a effetto speciale della collaborazione del reo: indice, questo, del rilievo assegnato all’incentivo premiale, quale strumento per minare i correlati fenomeni criminosi. E allora, argomenta la Corte, la “neutralizzazione” di tale attenuante nell’ipotesi in cui l’autore del reato sia recidivo si rivela a questo punto distonica rispetto alla stessa intenzione del legislatore, finendo per disincentivare la scelta di collaborare. Tale scelta, pur potendo essere frutto di un mero calcolo, implica anche in questo caso il distacco dell’autore del reato dall’ambiente criminale, con il rischio di potenziali ritorsioni.

La mancata considerazione del distacco dall’ambiente criminoso e dei rischi che la collaborazione comporta, d’altra parte, determina il contrasto del divieto di prevalenza dell’attenuante relativa al ravvedimento post delictum anche con l’articolo 27, terzo comma, Cost., in quanto fa sì che la pena irrogata sia percepita come ingiusta e, quindi, inidonea ad assolvere alla finalità rieducativa, propria delle sanzioni penali.

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