Messa alla prova, non può essere negata per la misura cautelare personale in atto
L’isituto che prevede prima la sospensione del processo e poi, in caso di esito positivo sul reinserimento sociale dell’imputato, l’estinzione del reato non dispone alcuna preclusione per la carcerazione cautelare o i domiciliari
La richiesta dell’imputato maggiorenne di sospensione del processo per ottenere l’estinzione del reato tramite un percorso di messa alla prova che dia esito positivo è richiesta che necessariamente il giudice deve vagliare in base agli elementi sulla gravità del reato come indicati dall’articolo 133 del Codice penale. È quindi illegittima la decisione negativa sull’istanza assunta de plano dal giudice che semplicemente constati - come ostacolo alla messa alla prova - la circostanza che l’imputato sia assoggettato alla misura cautelare personale detentiva, senza effettuare il vaglio suinidicato. Infatti, se è vero che l’adozione della misura cautelare restrittiva è indice di rischio di reiterazione del reato essa non costituisce un caso di esclusione che sia stato previsto dal Legislatore per la concessione della messa alla prova.
La Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 26411/2025 - ha accolto il ricorso dell’imputato accusato del reato di detenzione di materiale pedopornografico (articolo 600 quater del Cp) aggravato dall’ingente quantità di immagini e di utilizzo di mezzi idonei a impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche ove venivano prelevate e diffuse le immagini ritraenti minori anche di soli due anni. In appello il ricorrente aveva ottenuto l’equivalenza delle aggravanti con le circostanze attenuanti generiche altro elemento sintomatico positivo ai fini dell’accoglimento della sua istanza.
La Corte di legittimità - accogliendo lo specifico motivo di ricorso sulla domanda di sospensione del processo - censura il diniego del giudice di appello adottato in assenza di specifico esame sui presupposti dettati per la messa alla prova e con motivazione appiattita sulla circostanza che era stata disposta la misura cautelare della detenzione. Le misure cautelari in atto non impediscono, infatti, il rimedio alternativo alla condanna e all’applicazione della sanzione penale che deriva dal buon esito della messa prova.
Come ricorda la Suprema Corte la messa alla prova è strumento alternativo al completo svolgimento del processo penale che può essere concesso o negato in base allo svolgimento delle conclusioni di una valutazione prognostica favorevole all’ipotesi che grazie a tale percorso emendativo il responsabile di un reato non ricadrà nel crimine.
Quindi l’istituto della messa alla prova che impone di base l’adozione di condotte volte a eliminare le conseguenze del reato, lo svolgimento di un lavoro di pubblica utilità e l’affidamento al servizio sociale è istituto giuridico che può essere azionato dalla parte e adottato dal giudice in base avalutazioni puntuali del comportamento tenuto dalla persona accusata di un reato tanto nella veste di indagato quanto in quella successiva di imputato senza alcuna automatica rilevanza del fatto che la persona sia in custodia cautelare.
Inoltre, nel caso specifico, il ricorrente inizialmente sottoposto alla custodia in carcere era stato posto già in primo grado alla misura cautelare meno afflittiva degli arresti domiciliari proprio grazie al percorso di recupero dimostrato con il comportamento collaborativo mostrato durante la fase delle indagini, ammettendo tutti gli addebiti e fornendo le chiavi di accesso al sistema informatico utilizzato per acQuisire e conservare le immagini oggetto del reato sessuale pedofilo.
Successivamente alla conversione della carcerazione con la detenzione domiciliare il percorso di rinserimento sociale era proseguito. Infatti, il ricorrente aveva mostrato un ripensamento sui propri comportamenti durante la detenzione in carcere avendo espresso il proposito di sottoporsi a un iter terapeutico. Ciò che secondo la Cassazione avrebbe potuto integrare uno dei presupposti fondamentali per l’avvio della messa alla prova.
Il giudice di appello ha perciò omesso il dovuto esame sull’istanza di messa alla prova sia in relazione all’avvenuta attenuazione del trattamento cautelare sia per le già intervenute autorizzazioni ad allontarsi dai domiciliari per seguire uno specifico trattamento psicoterapeutico: circostanze illegittimamente pretermesse dalla decisione impugnata che si è arrestata di fronte alla mera sussistenza di una misura cautelare in atto considerata in sé indice di pericolosità e di rischio di recidiva.