Fusioni transfrontaliere di banche, resta l'obbligo di versare il contributo al Fondo di risoluzione nazionale
L'obbligo delle banche di versare contributo ordinario a Fondo di Risoluzione Nazionale sorge ogni 1° gennaio e resta invariato tutto l'anno, nonostante le fusioni transfrontaliere mediante incorporazione. Lo ha deciso la Cgue con la sentenza 14 novembre 2019 causa C-255/18,
In risposta alla crisi economica del 2008, i Paesi della zona euro hanno avviato un'unione bancaria prevedendo, tra l'altro, che i costi di risanamento e risoluzione degli enti creditizi siano assunti dal settore finanziario nel suo complesso, onde evitare che i salvataggi delle banche in crisi gravino sui bilanci nazionali. A tal fine, tutte le banche sono tenute a versare dei contributi finanziari che alimentano i vari Fondi di Risoluzione (Fondo di Risoluzione Unico, a livello europeo, e Fondi di Risoluzione Nazionali). In Italia, la Banca d'Italia è l'istituzione competente a determinare e a riscuotere il contributo annuale dovuto da ciascuna banca con sede legale sul territorio italiano.
La State Street Bank International Gmbh è una banca tedesca che ha esercitato, fino al 5 luglio 2015, la sua attività in Italia per mezzo di una banca autonoma, State Street Bank s.p.a. ("SSB"). Dal 6 luglio 2015, in seguito all'incorporazione di quest'ultima, la State Street Bank International ha continuato ad esercitare la sua attività sul territorio italiano per mezzo di una succursale. La Banca d'Italia, tra il 2015 e 2016, ha adottato una serie di note nei confronti della State Street Bank International, chiedendole il pagamento delle contribuzioni ordinarie al Fondo di Risoluzione Nazionale.
La State Street Bank International ha impugnato tali atti con un ricorso dinnanzi al TAR Lazio, chiedendone l'annullamento per violazione del diritto dell'Unione. Essa sostiene che, poiché le previsioni censurate della Banca d'Italia sono entrate in vigore quando SSB aveva già cessato di esistere quale banca autonoma con sede legale in Italia, essa (società madre) non poteva essere sottoposta all'obbligo di contribuzione in Italia. Inoltre, la Banca d'Italia doveva ritenersi incompetente in relazione all'imposizione della contribuzione nei suoi confronti per l'anno 2015.
Al contrario, la Banca d'Italia sostiene che il decreto (tardivo) di recepimento della Direttiva 2014/59/UE, cioè il d.lgs. nº 180/2015, le ha attribuito un potere il cui contenuto ed i cui termini temporali erano già specificati dalla normativa europea in materia, entrata in vigore dal 1º gennaio 2015 e, pertanto, applicabile fino al 5 luglio 2015 anche alla banca autonoma, SSB. Le norme di riferimento, oltre alla citata direttiva, sono quelle del Regolamento delegato (UE) 2015/63. E i tar Lazio ha posto la questione alla de alla Corte di giustizia.
La decisione - La Corte ricorda che l'istituzione, nel corso del 2015, dei fondi nazionali di risoluzione è stata combinata con la previsione, nel corso del 2016, di un fondo di risoluzione unico tra gli Stati membri che partecipano all'unione bancaria, inteso a sostituire progressivamente i fondi di risoluzione nazionali. La raccolta annuale dei contributi ordinari degli enti creditizi è stata istituita per garantire che, entro il 31 dicembre 2024, il meccanismo di finanziamento degli Stati membri disponga di mezzi finanziari pari ad almeno l'1% dell'ammontare dei depositi protetti di tutti gli enti autorizzati nel rispettivo territorio. Il cambiamento di status di un ente non incide sull'obbligo di tale ente di versare contributi ordinari annui dovuti per l'anno in questione.
La Corte rileva che la nozione di «cambiamento di status» è una nozione ampia, ricomprendente anche la fattispecie in esame. Solo tale interpretazione ampia consente di raggiungere i citati obiettivi fissati dalle norme dell'Unione. Infatti, se le autorità di risoluzione nazionali dovessero tenere conto dei mutamenti occorsi nella situazione giuridica e finanziaria degli enti durante l'esercizio di cui trattasi, difficilmente esse potrebbero effettuare un calcolo attendibile dei contributi ordinari dovuti nel corso dell'anno successivo e, di conseguenza, perseguire l'obiettivo consistente nel raggiungere, entro il 31 dicembre 2024, almeno l'1% dell'ammontare dei depositi protetti di tutti gli enti autorizzati nel territorio di uno Stato membro. Nella specie, quindi, i contributi ordinari per l'anno in corso (quelli, cioè, che vengono determinati ex ante) non variano, neppure a seguito della fusione transnazionale. In altri termini, ai fini del calcolo di detto contributo, si deve tenere conto della situazione esistente al 1° gennaio dell'anno di contribuzione e sono irrilevanti i cambiamenti di status successivi, comprese le fusioni mediante incorporazione transfrontaliere. L'unica eccezione espressamente prevista dal Regolamento è il pagamento di un contributo parziale pro rata temporis per gli enti finanziari di nuova istituzione.
La Corte osserva, poi, che quanto appena detto vale anche in una situazione come quella in questione, nella quale la fusione e l'estinzione dell'ente incorporato hanno avuto luogo, in Italia, nel 2015, in un momento in cui sia l'autorità di risoluzione nazionale sia il fondo nazionale non erano ancora stati formalmente istituiti dall'Italia ed i contributi non ancora calcolati. Non vi è dubbio, invero, che l'Italia abbia recepito in ritardo la Direttiva (il termine era previsto il 31 dicembre 2014, mentre la normativa di trasposizione – decreto legislativo n. 180/2015 – è entrata in vigore il 16 novembre 2015). Tuttavia, il Regolamento che prevede la nozione e gli effetti del "cambiamento di status" è entrato in vigore il 6 febbraio 2015, con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2015, senza presupporre alcuna trasposizione negli ordinamenti interni. In altri termini, il regolamento era in vigore in Italia al momento della fusione per incorporazione della SSB Italia. Detto Regolamento consentiva di esigere il pagamento dei contributi ordinari relativi al 2015 da tutti gli enti stabiliti in Italia al 1° gennaio 2015. Lo Stato italiano, pur avendo recepito la direttiva 2014/59 in ritardo, ha adottato la normativa interna di attuazione (il decreto legislativo n. 180/2015) in tempo utile per conformarsi ai termini di raccolta previsti dal Regolamento (30 novembre 2015).
La Corte analizza, infine, la questione se i contributi straordinari (ex post) siano soggetti alle stesse regole applicate ai contributi ordinari (ex ante), in caso di fusione per incorporazione transfrontaliera. A questo proposito, la Corte osserva che i due tipi di contributi hanno natura diversa. Il contributo straordinario differisce, infatti, dal contributo ordinario per quanto riguarda il momento e la finalità della sua raccolta. Il contributo straordinario, che è un tributo determinato ex post, tiene conto, in particolare, della effettiva capacità finanziaria degli enti creditizi e della loro reale esposizione al rischio di crisi finanziaria ad una certa. I contributi straordinari non possono quindi essere pianificati allo stesso modo dei contributi ordinari, i quali sono calcolati facendo riferimento alle informazioni contabili relative agli ultimi bilanci d'esercizio approvati e certificati disponibili al 31 dicembre dell'anno precedente il periodo di contribuzione e raccolti per l'anno civile di contribuzione. In tale prospettiva, non può essere tenuto a versare il contributo straordinario un ente che, alla data in cui detto contributo è stato deciso, aveva cessato di essere soggetto alla sorveglianza dell'autorità nazionale a seguito della fusione per incorporazione con una società madre stabilita in un altro Stato membro. Il cambiamento di status dell'ente non incide, pertanto, sulla raccolta dei contributi straordinari, che deve essere effettuata sulla base della «fotografia» del settore bancario al momento della loro adozione, assoggettandovi gli enti che in tale momento rientrano nella competenza dell'autorità di risoluzione.