Covid, il Tribunale Ue boccia il divieto di accesso agli sms von der Leyen - ad Pfizer
Con la decisione nella Causa T-36/23, il Tribunale ha annullato la decisione della Commissione in quanto non ha fornito spiegazioni plausibili per giustificare il non possesso dei documenti richiesti
Il Tribunale Ue (causa T-36/23) ha annullato la decisione della Commissione che aveva negato a una giornalista del New York Times l’accesso ai messaggi di testo scambiati tra la presidente von der Leyen e l’amministratore delegato di Pfizer.
La vicenda - Con una domanda fondata sul regolamento relativo all’accesso ai documenti, la giornalista Matina Stevi aveva chiesto alla Commissione europea di consentirle l’accesso a tutti i messaggi di testo (SMS) scambiati tra il 1° gennaio 2021 e l’11 maggio 2022 tra la presidente von der Leyen e l’ Ad del colosso farmaceutico. La Commissione ha però respinto la domanda affermando di non essere in possesso dei documenti. A questo punto, la giornalista e il New York Times hanno chiesto al Tribunale dell’Unione europea di annullare la decisione della Commissione.
La decisione - Il Tribunale di primo grado ricorda che il regolamento relativo all’accesso ai documenti mira a dare la massima attuazione al diritto di accesso del pubblico ai documenti in possesso dalle istituzioni. In linea di principio, spiega, tutti i documenti delle istituzioni dovrebbero essere accessibili al pubblico. Tuttavia, quando un’istituzione afferma, in risposta a una domanda di accesso, che un documento non esiste, l’inesistenza del documento è presunta, conformemente alla presunzione di veridicità di cui tale affermazione è munita. Tale presunzione può però essere superata sulla base di elementi pertinenti e concordanti forniti dal richiedente.
Nel caso di specie, il Tribunale osserva che le risposte fornite dalla Commissione si basano o su ipotesi, oppure su informazioni mutevoli o imprecise. Mentre la Stevi e il New York Times hanno presentato elementi pertinenti e concordanti che descrivono l’esistenza di scambi, in particolare sotto forma di messaggi di testo nell’ambito dell’acquisto, da parte della Commissione, di vaccini durante la pandemia di COVID-19. In tal modo superando la presunzione di inesistenza e di non possesso dei documenti richiesti.
E allora, prosegue la decisione, in una situazione del genere, la Commissione non può limitarsi a negare di avere i documenti richiesti, ma deve fornire spiegazioni credibili che consentano al pubblico e al Tribunale di comprendere perché tali documenti siano irreperibili. Invece, la Commissione non ha spiegato che tipo di ricerche avrebbe effettuato per trovare i documenti, né l’identità dei luoghi in cui si sarebbero svolte. Pertanto, non ha fornito spiegazioni plausibili per giustificare il non possesso dei documenti richiesti. Né ha sufficientemente chiarito se i messaggi richiesti fossero stati eliminati e, in tal caso, se l’eliminazione fosse stata effettuata volontariamente o automaticamente o ancora se il telefono cellulare della presidente fosse stato nel frattempo sostituito.
Infine, la Commissione non ha neppure spiegato in modo plausibile perché essa avrebbe ritenuto che i messaggi di testo scambiati nell’ambito dell’acquisto di vaccini contro la COVID-19 non contenessero informazioni sostanziali o che richiedessero un monitoraggio di cui dovesse essere garantita la conservazione.
A stretto giro, fonti vicine alla Corte (riportate dell’Ansa) spiegano che la decisione “non comporta automaticamente che tali messaggi debbano essere resi pubblici”. Il New York Times però “potrà presentare una nuova richiesta”. “In tal caso, la Commissione potrà ancora negare l’accesso, ma dovrà motivare il diniego in modo molto più chiaro, solido e coerente, tenendo conto delle indicazioni fornite dal Tribunale, che ora costituiscono un riferimento giuridico”.
Bruxelles ha comunque la possibilità di impugnare la sentenza di primo grado davanti alla Corte Ue entro due mesi.