Amministrativo

Giudizio elettorale, il valore probatorio dell'«auto-dichiarazione» di voto per un candidato

Il ricorrente deve esibire in giudizio quantomeno una dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata dal rappresentante di lista presente alle operazioni elettorali

di Pietro Alessio Palumbo

Nel giudizio elettorale le dichiarazioni sostitutive degli elettori di aver votato scheda bianca o nulla o di aver dato questa o quella preferenza, non possono ritenersi ammissibili perché poste in violazione del valore costituzionale della segretezza del voto ai sensi dell'articolo 48 della Costituzione repubblicana. In altri termini - ha posto in evidenza il Tar Veneto con la recente sentenza n.121/2021 - in assenza di risultanze documentabili dai verbali sezionali ed in disparte la questione se tali "auto-dichiarazioni" possano o meno integrare principio di prova sia pur valutato con rigore "attenuato", l'onere probatorio minimo può considerarsi soddisfatto (solo) allorquando il ricorrente esibisca in giudizio quantomeno una dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata dal rappresentante di lista presente alle operazioni elettorali. E ciò riconoscendo al rappresentante una sorta di jus poenitendi rispetto ad eventuale assenso tacitamente manifestato durante le operazioni, laddove evidentemente non ha formalizzato contestazioni riscontrabili dai verbali di sezione.

Onere probatorio con "rigore attenuato"
Il requisito della specificità dei motivi nel ricorso elettorale comporta che il relativo onere debba essere valutato con "rigore attenuato". Il tanto, posto che l'interessato, non avendo la facoltà di esaminare direttamente il materiale in contestazione deve rimettersi alle indicazioni provenienti da terzi che possono essere imprecise o non esaurienti. Accade frequentemente che il soggetto interessato non disponga di elementi documentali idonei a provare le illegittimità in cui sia incorso il seggio elettorale, e che la prova della fondatezza della doglianza non possa essere raggiunta se non mediante l'esercizio dei poteri istruttori di cui dispone il giudice. A ben vedere ove l'onere della prova dovesse applicarsi con il rigore ordinariamente imposto dalle norme processuali generali, che sanzionano con l'inammissibilità il ricorso non sorretto dalla prova delle censure dedotte, l'indisponibilità degli atti da parte del ricorrente finirebbe per privarlo del diritto
di difesa. Consegue che, nelle ipotesi in questione, l'onere gravante sul ricorrente deve considerarsi circoscritto alla allegazione di "elementi indiziari", pur estranei agli atti del procedimento, ma comunque dotati della attendibilità sufficiente a costituire un principio di prova plausibile ed idoneo a legittimare l'attività acquisitiva del giudice.

L'onere probatorio minimo: le dichiarazioni dei rappresentanti di lista
In assenza di risultanze documentabili dai verbali sezionali l'onere probatorio minimo può considerarsi soddisfatto da parte del ricorrente allorquando quest'ultimo esibisca in giudizio quantomeno una dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata dal rappresentante di lista presente alle operazioni elettorali. In altre parole il principio di specificazione dei motivi, seppur a ben vedere nel giudizio in argomento "lievemente temperato", richiede sempre, ai fini dell'ammissibilità del ricorso o delle singole doglianze, che vengano indicati, con riferimento a circostanze concrete, la natura dei vizi denunziati, il numero delle schede contestate, le sezioni di riferimento. E in particolare, si considerano principi di prova sufficienti le dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà rilasciate dai rappresentanti di lista ai sensi del Dpr n. 445 del 2000, in epoca successiva alla proclamazione dell'esito della consultazione, anche se gli stessi soggetti non abbiano svolto contestazioni in sede di spoglio delle schede. Deduttivamente: nessuna irretrattabile "acquiescenza", bensì ragionevole ponderazione "a freddo". Con specifico riferimento al ruolo del rappresentante di lista nel procedimento elettorale e alla mancata verbalizzazione delle contestazioni durante le operazioni di spoglio, non va trascurata la possibilità che lo stesso può non aver "percepito" nell'immediatezza la rilevanza determinante di un "errore", che può invece manifestarsi solo alla conclusione delle operazioni. Dal che, assumendo le responsabilità penali previste, deve essergli consentito di fornire il proprio apporto probatorio anche in un momento successivo alla proclamazione degli eletti.

L'istruttoria del giudice
Per altro verso va tenuto presente che, per la peculiarità del contenzioso elettorale, l'accertamento giudiziale delle illegittimità eventualmente commesse dalla sezione elettorale nella attribuzione dei suffragi o nella valutazione di validità o invalidità dei voti espressi, non potrà mai compiersi attribuendo valore dirimente alle dichiarazioni dei rappresentanti di lista sic et sempliciter, senza procedere alla acquisizione e verifica "diretta" del materiale in contestazione da parte del giudice. Ove, infatti, sia materialmente possibile l'accesso del giudice al fatto, ossia al documento che contiene la "vera" prova dell'errore, non gli è consentito pervenire ad un legittimo convincimento sulla base di una mera rappresentazione "mediata". Ne consegue che la dichiarazione scritta non può assolvere al ruolo di mezzo di prova sulla base del quale definire il giudizio sulla fondatezza della doglianza, "regredendo" piuttosto a mero principio di prova idoneo (soltanto) a legittimare l'esercizio dei poteri istruttori del giudice.

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