Famiglia

Ha natura decisoria il provvedimento sul diritto al matrimonio di chi è in amministrazione di sostegno

Il codice civile inibisce il matrimonio al solo interdetto, la cui condizione non è equiparabile a quella del beneficiario di amministrazione di sostegno

di Valeria Cianciolo

Tizio proponeva reclamo, ex articolo 720-bis c.p.c., comma 2, innanzi alla Corte di appello avverso il provvedimento del giudice tutelare reiettivo della richiesta, di estendere al padre , nei cui confronti era stata disposta la misura di protezione dell'amministrazione di sostegno, il divieto di contrarre nozze ex articolo 85 c.c.. L'anziano padre era affetto da disturbo paranoide di personalità, e voleva contrarre nozze con qualunque persona lo avvicinasse
La corte adita, ritenendo questo provvedimento di natura "gestoria" e non "decisoria", così da rendere ad esso applicabile il regime impugnatorio previsto dall'articolo 739 c.p.c., si dichiarava incompetente a conoscere il reclamo che si sarebbe dovuto promuovere innanzi al tribunale.
Il Tribunale sollevava conflitto negativo di competenza nei confronti della Corte di appello, affermando che, diversamente da quanto opinato da quest'ultima, all'impugnato decreto doveva riconoscersi natura "decisoria".
Con l'ordinanza n. 4733 del 22 febbraio 2021 in esame, gli Ermellini hanno statuito essere competente a conoscere del reclamo la Corte di appello, perchè la limitazione del diritto del beneficiario della misura di protezione dell'amministrazione di sostegno, discenderebbe da uno specifico provvedimento del giudice tutelare, prevalendo l'articolo 720-bis c.p.c., in considerazione della sua specialità, sulle disposizioni di carattere generale contenute nell'articolo 739 c.p.c.

Amministrazione di sostegno e matrimonio
Ci si è chiesti se il giudice tutelare, alla luce dell'art. 411 cod. civ., possa estendere la limitazione alla capacità di contrarre matrimonio anche al beneficiario dell'amministrazione di sostegno.
In linea generale, il beneficiario di amministrazione di sostegno è ammesso a contrarre matrimonio, essendo stato più volte affermato dalla Cassazione (cfr. per tutti Cass. civ. Sez. I, Ord. 21 maggio 2018, n. 12460) che l'articolo 85 c.c. – il quale dispone un divieto di contrarre matrimonio per l'interdetto – non trova automatica applicazione, potendone il giudice tutelare disporre l'estensione ai sensi dell'articolo 411, comma 4, c.c., solo al ricorrere di circostanze di eccezionale gravità e sempre che ciò sia conforme all'interesse dell'amministrato. La dottrina afferma sul punto che in "presenza di circostanze gravissime" è ipotizzabile l'emanazione di un decreto col quale il giudice tutelare può estendere al beneficiario il divieto previsto per l'interdetto (Calò, Amministrazione di sostegno. Legge 9 gennaio 2004, n. 6, Milano, 2004, 133).
La dottrina maggioritaria concorda sulla capacità di contrarre matrimonio da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno e sulla non estensibilità degli effetti dell'articolo 411 cod. civ., in questo ambito. Tale effetto non solo sarebbe contrario all'intenzione del legislatore, ma farebbe scaturire un divieto matrimoniale in pieno contrasto con il principio secondo cui si inciderebbe significativamente sulla capacità della persona che non potrebbe dipendere da provvedimento discrezionale giudiziale limitativo dell'esercizio di un diritto fondamentale come quello al matrimonio (Ferrando, Querci, L'invalidità del matrimonio e il problema dei suoi effetti, Milano, 2007, 126). Questa tesi si basa sul fatto che la libertà matrimoniale può essere esclusa dalla legge ed il codice civile inibisce il matrimonio al solo interdetto, la cui condizione non è equiparabile a quella del beneficiario di amministrazione di sostegno.
A conferma di quanto detto, una pronuncia degli Ermellini precisa che le disposizioni in materia di interdizione non sono suscettibili di generalizzata estensione analogica all'amministrazione di sostegno, posto che quest'ultimo istituto ha la finalità di offrire uno strumento di assistenza a chi si trova nell'impossibilità, anche temporanea, di provvedere ai propri interessi, comprimendone nella minor misura possibile la capacità di agire. Peraltro, non sussiste la legittimazione all'impugnazione del matrimonio degli eredi di chi, al momento delle nozze, versava in stato di incapacità naturale, essendo stato designato solo successivamente un amministratore di sostegno, e sia deceduto senza aver proposto tale azione (Cass. civ., 11 maggio 2017, n. 11536).

Il reclamo
Il procedimento di nomina dell'amministratore di sostegno non è strutturato organicamente nel codice di rito. Le norme ad esso applicabili sono contenute negli articoli da 404 a 413 c.c. e per effetto del richiamo contenuto nell'articolo 720 bis c.p.c. si applicano le disposizioni di cui agli articoli 712, 713, 716, 719 e 720 c.p.c.
In ordine all'individuazione della natura dei provvedimenti resi nella procedura di amministrazione di sostegno non sussiste univocità di vedute. Secondo un primo indirizzo interpretativo, il procedimento di apertura dell'amministrazione di sostegno ha natura di volontaria giurisdizione. Tale tesi troverebbe conferma nell'esame dell'iter dei lavori preparatori dell'istituto, da cui emerge la necessità di conseguire uno strumento maggiormente flessibile rispetto all'interdizione.
Un antitetico orientamento sostiene la natura contenziosa del procedimento facendo leva sul fatto che l'iter procedimentale sarebbe identico a quello dettato in materia di interdizione, con la conseguenza che si tratterebbe di un giudizio contenzioso, caratterizzato dal concludersi con una sentenza idonea al giudicato.
Per i sostenitori del carattere contenzioso dei provvedimenti in parola, i rimedi esperibili sarebbero, il reclamo alla Corte d'appello ex articolo 720 bis c.p.c., ed il ricorso in cassazione avverso il provvedimento reso in sede di reclamo. Invece, l'indirizzo che discrimina tra provvedimenti gestori camerali e provvedimenti contenziosi, considera meramente reclamabili dinanzi al tribunale, ex articolo 739 c.p.c., i provvedimenti gestori, da un lato; e reclamabili, ex articolo 720 bis c.p.c., dinanzi alla Corte d'appello ed impugnabili in cassazione, quelli di carattere contenzioso, dall'altro lato.
I commi 2° e 3° dell'articoo 720 bis c.p.c. disciplinano il sistema delle impugnazioni avverso il decreto emesso dal giudice tutelare, disponendo la reclamabilità ex articolo 739 c.p.c. dello stesso innanzi alla corte d'appello nel cui distretto si trova il giudice tutelare che ha pronunciato il provvedimento, nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del decreto ovvero della notificazione se pronunciato nei confronti di più parti (articolo 739, 2° co., c.p.c.).
Secondo l'orientamento prevalente della Cassazione, la competenza della corte d'appello quale giudice competente a decidere l'impugnazione avverso i decreti del giudice tutelare, è limitata ai provvedimenti di natura decisoria e, dunque, idonei ad acquistare efficacia di giudicato, mentre per tutti i provvedimenti di natura meramente ordinatoria ed amministrativa resta la competenza generale del tribunale in composizione collegiale ai sensi dell'articolo 739 c.p.c.
La questione avendo ad oggetto l'interpretazione di una regola processuale, è stata rimessa dalla sez. VI-1 della Cassazione con sent. 26 agosto 2020, n. 17833 alle Sezioni Unite al fine di definire un orientamento uniforme.
In attesa di conoscere quale sia la risposta in proposito che potrà definire la questione de qua, nel caso di specie, la Cassazione ha affermato che avendo il diritto di autodeterminarsi con riguardo al proprio matrimonio il rango di diritto personalissimo, di conseguenza ogni provvedimento giurisdizionale che vi incida possiede in re ipsa una dimensione decisoria e va affermata la competenza della Corte di appello a conoscere del reclamo.

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