Penale

Hiv: sul reato di epidemia pesano il numero di persone e i tempi del contagio

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di Patrizia Maciocchi


Contagio e non epidemia se la trasmissione del virus, nello specifico Hiv, riguarda un numero di persone cospicuo ma non ingente in un lungo arco di tempo. La Corte di cassazione, con la sentenza 48014, conferma la condanna a 22 anni di carcere per Valentino Talluto, processato per aver contagiato con l'Hiv 32 donne conosciute in una chat. La Suprema corte oltre al ricorso dell'imputato ha respinto anche quello del Pg che chiedeva la condanna per il reato di epidemia. Ad avviso del Pg, l'abrogazione dell'articolo 554 del Codice penale sul contagio di sifilide e blenorragia, non comportava come affermato nella sentenza impugnata, l'impossibilità di ravvisare la responsabilità del reato di epidemia. Nello specifico però, per la Suprema corte mancano gli elementi del reato. Un crimine che si caratterizza per la “diffusività incontrollabile all'interno di un numero rilevante di soggetti e quindi per una malattia contagiosa, dal rapido sviluppo ed autonomo, entro un numero indeterminato di soggetti e per una durata cronologicamente limitata”. Nella vicenda specifica il contagio ha riguardato un numero di persone per quanto cospicuo, certo non ingente e in un tempo molto ampio: nove anni. Circostanze “che rendono il fatto estraneo alla descrizione tipizzante appena prima illustrata”. Secondo la Cassazione, dunque, “l'ampiezza del dato temporale in cui si è verificato il contagio, in uno col fatto che un altrettanto cospicuo numero di donne, che pure ebbero rapporti sessuali non protetti con l'imputato, non furono infettate, militano nel senso della carenza, nella vicenda in esame, della connotazione fondamentale del fenomeno epidemico, che giova a qualificare la fattispecie in termini di reato di pericolo concreto per l'incolumità pubblica, ossia la facile trasmissibilità della malattia ad una cerchia ancora più ampia di persone”. Tuttavia i giudici non escludono che, in altri casi, possa configurarsi - ad esempio con il concorso di più persone - l'accusa di aver diffuso una epidemia. “Non persuade l'assunto dei giudici di appello – si legge nella sentenza - che non possa parlarsi di diffusione rilevante per la fattispecie di epidemia se non vi sia un possesso di germi patogeni in capo all'autore segnato da separazione fisica tra l'oggetto, quel che viene diffuso, e il soggetto, ossia chi diffonde”. “La norma non impone questa relazione di alterità e non esclude che una diffusione possa aversi pur quando l'agente sia esso stesso il vettore dei germi patogeni”

Corte di cassazione – Sezione I – Sentenza 26 novembre 2019 n.48014

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