I maltrattamenti in famiglia diventano stalking se continuano dopo la fine della convivenza
Le condotte persecutorie poste in essere nei confronti dell'ex partner, già precedentemente vittima di episodi di maltrattamenti in famiglia, avvenute in epoca successiva alla cessazione della convivenza, non possono configurare il delitto di cui all'articolo 572 c.p., bensì quello previsto dall'articolo 612-bis c.p. nella forma aggravata di cui al secondo comma, da ritenersi commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso rispetto alle condotte commesse durante la relazione. Questa delucidazione sul rapporto tra i reati di maltrattamenti in famiglia e stalking arriva dalla Corte d'appello di Palermo con la sentenza 1711/2015.
La vicenda - Le condotte incriminate erano state poste in essere, prima e dopo la fine della convivenza, da un uomo nei confronti della sua partner, dalla quale aveva avuto anche dei figli. Proprio le testimonianze di costoro erano state gli elementi determinanti per la condanna inflitta in primo grado. Era emerso, infatti, che l'uomo aveva più volte ingiuriato e percosso la donna a causa del suo carattere irascibile e del suo stato di frustrazione per l'incapacità di conservare un posto di lavoro. In seguito all'allontanamento dalla casa familiare, l'uomo aveva continuato a prendere di mira la sua vecchia compagna attraverso appostamenti sotto casa, danneggiamenti, telefonate offensive e minacciose, al punto da costringerla a farsi scoetare nel tragitto casa-lavoro dal figlio.
Il rapporto tra i due reati - Il Tribunale aveva ritenuto assorbita l'imputazione per il reato di atti persecutori previsto dall'articolo 612-bis c.p. in quello più grave di maltrattamenti in famiglia di cui all'articolo 572 c.p., aderendo ad un orientamento giurisprudenziale secondo cui la cessazione del rapporto di convivenza non influisce sulla sussistenza del reato di maltrattamenti. In sostanza, le condotte poste in essere dopo la fine della relazione devono considerarsi come una «esplicazione di un medesimo atteggiarsi dalla volontà dell'imputato, che ha proseguito nel comportamento vessatorio nei confronti della convivente, pur dopo la cessazione della convivenza».
La Corte d'appello sul punto la pensa diversamente ed accoglie il ricorso dell'imputato che ottiene un ricalcolo al ribasso della pena, essendo lo stalking un delitto meno grave rispetto a quello di maltrattamenti. Per i giudici, l'impostazione adottata dal Tribunale può andar bene per le condotte poste in essere dal coniuge separato di fatto, ma «non può ritenersi applicabile, sic et simpliciter, nelle ipotesi di rapporto di convivenza more uxorio, in cui la cessazione della convivenza stessa determina la fine del nucleo familiare costituito dalla coppia». Pertanto - conclude il collegio - « le condotte persecutorie poste in essere in epoca successiva alla cessazione della convivenza, dopo l'introduzione dell'art. 612 bis c.p., non possano configurare il delitto di maltrattamenti bensì quello di atti persecuto, sia pure nella forma aggravata di cui al secondo comma, da ritenersi commesso in esecuzione di un medesimo disegno criminoso rispetto agli altri delitti oggetto di contestazione».
Corte d'appello di Palermo - Sezione IV penale - Sentenza 30 aprile 2015 n. 1711