Penale

Il cliente deve vigilare sull'operato dell'avvocato

La Cassazione ricorda il principio secondo cui è onere dell'assistito non solo la scelta "ragionata" del difensore ma anche il controllo dell'esatto adempimento del mandato difensivo

di Marina Crisafi

L’assistito ha l’onere non solo di effettuare una “scelta ragionata” dell’avvocato ma anche di controllare che il mandato difensivo venga esattamente adempiuto, adottando tutte le cautele imposte dalla normale diligenza. È quanto affermato dalla Cassazione, nella recente sentenza n. 22998/2022.

I fatti

I fatti originano dal rigetto dell’istanza, avanzata dal difensore di fiducia per la restituzione nel termine per impugnare la sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta che aveva condannato il proprio assistito per diffamazione aggravata arrecata nei confronti di un giornalista. Sosteneva l’avvocato che, non essendo iscritto l’originario difensore di fiducia nell’albo dei cassazionisti, era stato necessario procedere alla nomina di un nuovo difensore di fiducia abilitato per formulare il ricorso per cassazione. Quest’ultimo provvedeva, quindi, a redigere il ricorso, ma la sua collaboratrice sbagliata a inviare l’atto di impugnazione a mezzo pec, inoltrandolo alla Corte d’appello di Palermo in luogo di quella di Caltanissetta.

Dell'errore commesso si avvedeva il primo avvocato di fiducia, allorquando riceveva la notifica dell'ordine di esecuzione della carcerazione e contestuale decreto di sospensione relativo al suo assistito. Costui, nelle settimane di scadenza dei termini per il ricorso in cassazione era detenuto per altra causa presso il carcere di Enna, per cui non poteva ritenersi onerato di controllare che il suo difensore adempisse correttamente al proprio mandato nel deposito dell'atto di impugnazione. Questi i fatti di causa.

  La decisione della Suprema corte
Per gli Ermellini, tuttavia, l’istanza è infondata.
Innanzitutto, premettono dal Palazzaccio, «l'art. 175 c.p.p., nel fissare le condizioni e i termini entro i quali la restituzione in termini può essere richiesta, stabilisce che le parti possono essere restituite in un termine previsto a pena di decadenza nel caso in cui non lo abbiano potuto rispettare ‘per caso fortuito’ o ‘per forza maggiore’» e tale richiesta va presentata entro 10 giorni da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore.

Detto questo, continuano i giudici della quinta penale, «è consolidato l'orientamento giurisprudenziale in forza del quale sussiste l'onere dell'assistito di vigilare sull'esatta osservanza dell'incarico conferito e che, laddove questo non sia stato assolto, il mancato adempimento del mandato da parte del difensore di fiducia non sia di per sé idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, posto che grava sull'imputato non solo l'onere di effettuare una scelta ragionata del difensore, ma anche di controllare l'esatto adempimento del mandato difensivo e di adottare tutte le cautele imposte dalla normale diligenza per vigilare sull'esatta osservanza, da parte del legale, dell'incarico a lui conferito».

La Suprema corte ha chiarito inoltre che: «Il mancato o l'inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell'incarico di proporre impugnazione, a qualsiasi causa ascrivibile, non sono idonei a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore - che legittimano la restituzione nel termine -, poiché consistono in una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza ed attenzione, e perché non può essere escluso, in via presuntiva, un onere dell'assistito di vigilare sull'esatta osservanza dell'incarico conferito, nei casi in cui il controllo sull'adempimento defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo» (cfr., ex multis, Cass. n. 2112/2021).

Nel caso di specie, non può ritenersi, concludono dalla Suprema corte, che lo stato di detenzione dell'imputato sia condizione astrattamente idonea a determinare una situazione di impossibilità nel comunicare con il difensore per chiedere chiarimenti sullo svolgimento della procedura e sulla strategia difensiva. Può, dunque, escludersi, che l'errore nell'invio da parte della collaboratrice di studio del difensore di fiducia dell'atto di impugnazione a mezzo pec ad un ufficio diverso da quello competente a riceverlo possa essere ricondotto ad una ipotesi di forza maggiore.

Da qui il rigetto dell’istanza e la condanna al pagamento delle spese processuali.

 

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©