Il comportamento del M.I.U.R. tra azione ed omissione: il "danno inesistente"
Come possono incidere gli Uffici scolastici sulla posizione in graduatoria dei docenti non di ruolo? Quali sono le azioni che il docente può intraprendere?
Il (doppio) quesito, oggetto della disamina odierna, è stabilire quali siano i poteri del Ministero della Pubblica Istruzione (e dei relativi Uffici scolastici territoriali) riguardo ad un docente iscritto nelle graduatorie ad esaurimento e quali le azioni che il docente possa eventualmente intraprendere a propria difesa.
Nella fattispecie, l'Ufficio scolastico territoriale cancellava, dalle graduatorie ad esaurimento, un docente che non aveva presentato domanda di aggiornamento per il triennio successivo.
I principali elementi sui quali focalizzare, almeno prima facie, l'osservazione sono: sul piano procedurale, la possibilità (o meno) per gli Uffici scolastici di incidere (e con quali tempistiche) sulle posizioni, in graduatoria, dei docenti non di ruolo; sotto il profilo formale, i tipi di atti e/o provvedimenti che il MIUR (e relativi uffici territoriali) può emanare nonché il rapporto di gerarchia tra fonti normative; in termini sostanziali, le situazioni giuridiche spettanti a ciascun cittadino lavoratore.
In subiecta materia, dunque, vanno, principalmente, richiamati gli artt. 3, 4, 5, 51, 54 co. 2 e 97 Cost., 2043 c.c., la l. n. 143/2004 e la l. n. 296/2006.
In primis, va ricordato che, in base all'ordinamento vigente, il tipo di "contatto" tra soggetti determina la natura della relazione tra gli stessi ed influisce, quindi, sui contenuti ovvero sulle posizioni e sulle situazioni giuridiche ipotizzabili e/o spettanti a ciascuna parte.
Nello specifico, il rapporto giuridico che si instaura tra P.A. e cittadino è, normalmente, disciplinato dal diritto pubblico: pertanto, la P.A., nell'esercizio dei propri poteri, deve rispettare la prima legge dello Stato ovvero i dettami della Carta Costituzionale e, quindi, esercitare, peraltro legittimamente, l'attività amministrativa.
Conferma di tale principio è data, innanzitutto, da quanto prescrivono gli articoli: 28 Cost. in termini di responsabilità diretta dei dipendenti pubblici sotto tutti i profili, civile, penale ed amministrativo, per il compimento di attività poste in violazione di diritti; 113 Cost. laddove si stabilisce il diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi contro gli atti della P.A.
Sul punto, è da notare che la dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato ulteriori fattispecie di responsabilità a carico della P.A., configurabili cioè non soltanto in caso di provvedimento ma anche di "mero" comportamento, ergo, contatto con il privato.
Così, dapprima è stato ricompreso nel concetto di "danno risarcibile" non soltanto la lesione di qualsiasi interesse costituzionalmente protetto ma anche la lesione di qualsiasi interesse rilevante per l'ordinamento ovvero la lesione sia un diritto soggettivo che dell'interesse del bene della vita al quale l'interesse leso effettivamente si collega (Cass., sez. un., 22-07-1999, n. 500).
Successivamente, per effetto del combinato disposto del d. lgs. 31-03-1998 n. 80 e della l. 21-07-2000 n. 205, si è realizzato il passaggio ad un sistema in cui la lesione di interessi legittimi è risarcibile e la giurisdizione sulle domande risarcitorie proposte nei confronti della P.A. è concentrata quasi interamente dinanzi al giudice amministrativo.
Ciò è stato ritenuto "normale" qualificando la giurisdizione sul risarcimento del danno non come una giurisdizione su diritti soggettivi bensì come una forma di tutela ulteriore dell'interesse legittimo che si aggiunge a quella demolitorio-conformativa (Corte Cost. n. 204/2005) ed in quanto l'interesse legittimo va tutelato, al pari del diritto soggettivo, in modo pieno ed effettivo: in altri termini, la questione della competenza giurisdizionale non può comportare una limitazione delle forme di tutela esperibili.
A tal riguardo, si ricordi la vexata quaestio tra pregiudizialità dell'impugnazione dell'atto lesivo rispetto alla domanda risarcitoria per la lesione di un interesse legittimo ed autonomia dell'azione risarcitoria per lesione degli interessi legittimi rispetto alla domanda di annullamento dell'atto lesivo.
Ebbene, secondo un orientamento di prevalenza amministrativistica, varie le osservazioni da effettuare:
a) gli effetti prodotti dall'atto amministrativo, avendo questo efficacia imperativa, vanno considerati conformi alla legge fino a quando l'atto stesso non venga annullato;
b) il provvedimento determina stabilità per i rapporti giuridici cui si riferisce e, quindi, quest'ultima non può essere sottoposta all'esperibilità, entro cinque anni, di un'azione risarcitoria bensì ad un termine decadenziale breve;
c) essendo la giurisdizione amministrativa, diversamente da quella ordinaria, volta a garantire anche l'interesse generale alla legalità dell'azione amministrativa, la cognizione del magistrato amministrativo sull'atto lesivo deve avere carattere necessariamente principale e non incidentale.
Secondo un altro orientamento, di matrice invece civilistica, ciò che va considerato è il provvedimento (illegittimo) e la relativa qualificazione, non come atto dell'Autorità produttivo di determinati effetti giuridici da rimuovere ma come mero fatto immediatamente lesivo di una posizione soggettiva titolare/creditrice di un'obbligazione risarcitoria.
L'approdo normativo finale tra queste due differenti (ed opposte) impostazioni è l'abbandono del modello rigido di relazione fra l'azione risarcitoria e quella di annullamento amministrativo e, in funzione di controbilanciamento, l'assoggettamento dell'azione risarcitoria ad un termine decadenziale breve (120 giorni), anche se più lungo di quello (60 giorni) per l'impugnazione dell'atto lesivo, con decorrenza del relativo dies a quo in base all'azione giurisdizionale concretamente posta in essere.
Ulteriore effetto giuridico di tale mutamento normativo è quello, in caso di inoppugnabilità dell'atto amministrativo, dell'inesperibilità di uno dei mezzi di tutela giurisdizionale e non più la perdita di ogni rilevanza giuridica della lesione dell'interesse legittimo.
L'ultimo arresto normativo si è, dunque, avuto con il d.lgs 2-07-2010 n. 104 in base a cui al centro della (attenzione della) giurisdizione amministrativa non si pone l'impugnazione di un atto ma la posizione soggettiva lesa dallo scorretto esercizio del potere amministrativo.
Attualmente, quindi, il cittadino può esperire l'azione di condanna:
a) secondo due differenti modalità, e cioè contestualmente ad altra azione oppure (nei soli casi di giurisdizione esclusiva) anche in via autonoma;
b) per il risarcimento di tre tipi di danno, e cioè quello derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria e, nei casi di giurisdizione esclusiva, il danno da lesione di diritti soggettivi;
c) secondo determinate tempistiche, e cioè, in caso di domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi, entro centoventi giorni decorrenti dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo nonché dal passaggio in giudicato della relativa sentenza di annullamento;
d) senza ricomprendere, però, il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza;
e) al fine di ottenere due tipi di risarcimento, quello in forma specifica, entro 120 giorni (T.A.R. Catanzaro Sez. II 09-01-2019 n. 37) od anche in via autonoma senza la previa impugnazione dell'atto lesivo, o quello ripristinatorio-reintegratorio (o di adempimento) previa impugnazione dell'atto lesivo e senza alcun termine decadenziale.
All'uopo, va ricordata la diversa finalità tra le due azioni: per le azioni di condanna, far cessare la lesione in atto della posizione soggettiva mediante un comando puntuale alla P.A.; per la condanna in forma specifica, possibile se non eccessivamente onerosa per il debitore (art. 2058 c.c.), eliminare un danno già prodotto e ripristinare la situazione di fatto anteriore a cura e spese del danneggiante.
Discorso a parte, invece, per il risarcimento per equivalente con cui si chiede il pagamento di una somma di denaro corrispondente al valore della diminuzione del patrimonio verificatasi per effetto dell'illecito (danno emergente) ed al valore dei mancati guadagni (lucro cessante).
E' da sottolineare che l'illegittimità nonché l'omissione amministrativa costituisce la causa ed il presupposto per l'esperibilità di un'azione di condanna al risarcimento del danno ed il cui quantum è direttamente collegato alla sussistenza dell'elemento soggettivo (dolo o colpa) dell'illecito (art. 30 c.p.a.).
Astrattamente, il cittadino può, dunque, convenire, processualmente, la P.A. quando questa, mediante il proprio comportamento, abbia posto in essere un fatto giuridicamente rilevante in termini di illecito produttivo di danno ingiusto e ciò quando abbia violato i canoni di diligenza, imparzialità, correttezza e buona amministrazione ovvero quando abbia posto in essere omissioni od errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili (Cons. Stato, sez. III, 30-07-2013 n. 4020) come ad es. quando, in materia, non vi siano contrasti giudiziari, incertezze del quadro normativo di riferimento o complessità della situazione di fatto (Cons. Stato, Sez. IV, 7-01-2013 n. 23; Sez. V, 31-07-2012 n. 4337).
E' da aggiungere che, quando il canone della condotta amministrativa è tale da affidare all'Autorità amministrativa un elevato grado di discrezionalità, può configurarsi colpa e responsabilità a carico della stessa P.A. quando il potere sia stato esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità ed, in maniera macroscopica ed evidente, dei criteri della buona fede e dell'imparzialità (Cons. Stato, sez. IV, 31-03-2015 n. 1683 e 28-07-2015 n. 3707).
Altro aspetto da esaminare è la giurisdizione e la competenza in subiecta materia.
All'uopo, l'attenzione va focalizzata sulla causa petendi e sul petitum sostanziale specifici.
E' stata, così, ritenuta configurabile la potestà del giudice:
- ordinario quando si invochi la violazione dell'affidamento ingenerato dalla P.A. in un determinato esito del procedimento (Cass. ordin. nn. 6594, 6595 e 6596/2011) e, dunque, un comportamento lesivo di un diritto soggettivo (Cass. Sez. Unite Civ. ordin. 28-04-2020 n. 8236);
- amministrativo, quando si reclami l'inosservanza di un termine procedimentale ovvero l'illegittimo esercizio di un potere autoritativo.
Tali principi sono applicabili anche in ambito scolastico e, dunque, spetta:
- al giudice ordinario, l'accertamento del diritto all'inserimento in graduatoria, con eventuale previa disapplicazione dell'atto amministrativo, giudice ordinario (Cass. Sez. Un. Civili ordin. 23-04-2020 n. 8098);
- al giudice amministrativo, l'annullamento di atto amministrativo generale o normativo ed inserimento in graduatoria.
Nel merito, ex art. 1 co. 1-bis l. n. 143/2004, il depennamento, per omessa domanda, rientra tra i poteri della P.A. scolastica così come il reinserimento, su domanda, rientra tra i diritti del docente (T.A.R. Lazio-Roma Sez. III bis 10-02-2020 n. 1762, 17-07-2018 n. 7950 e Sez. VI n. 3323/2017, Cons. Stato Sez. VI 15-11-2017 n. 5281, 14-07-2014 n. 3658 e 12-06-2018 n. 3621): ciascuna parte è titolare, dunque, di proprie situazioni giuridiche, legalmente "condizionate".
All'uopo, va ricordato che l'ordinamento giuridico italiano tutela, infatti, il diritto al lavoro (art. 4 Cost.) inteso anche quale possibilità di ottenere/conservare un'occupazione anche precaria.
In tal senso, quindi, il docente già inserito nelle g.a.e. ha diritto, sul piano amministrativistico, al reinserimento in gae, peraltro con recupero del punteggio già conseguito all'atto della cancellazione.
De iure condito, la decadenza dall'inserimento in g.a.e. non può derivare dalla mera tardività ma soltanto da un'espressa volontà del docente (Cons. Stato Sez. VI 06-08-2018 n. 4835): il depennamento definitivo, non determinando peraltro una stabilizzazione lavorativa, precluderebbe, invece, la possibilità di un'occupazione, anche se precaria (T.A.R. Lazio-Roma Sez. II nn. 4021 e 3703/2018).
E', dunque, irrilevante il provvedimento di cancellazione dalle g.a.e. poiché rimuovibile a semplice domanda del docente mediante conseguente reinserimento.
In conclusione, in tema di rapporti tra P.A. e dipendenti a termine, il depennamento temporaneo non si configura, dunque, ingiusto in quanto è garantito il diritto del docente al reinserimento, se richiesto: rebus sic stantibus, quindi, non sussiste alcun illecito né danno contra legem a carico del MIUR.
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*Avvocato, Docente di Diritto ed Economia Politica, giornalista pubblicista