Il datore responsabile dell'infortunio sul lavoro non risponde automaticamente della morte del dipendente
Se il decesso non deriva direttamente dall'incidente va provato che non sia sopraggiunto un rischio nuovo e diverso da quello innescato
Va accertata dal giudice - con esame controfattuale - la vera causa che ha determinato la morte del dipendente che anni addietro era stato vittima di infortunio sul lavoro.
Non si può quindi far discendere "automaticamente" l'evento-morte dalle gravi lesioni colpose di cui sia stato riconosciuto responsabile il datore di lavoro. Soprattutto se tra la malattia dovuta all'infortunio e il decesso passa un significativo lasso di tempo.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 15155/2022, ha accolto il ricorso del datore di lavoro che, condannato per le lesioni colpose gravissime, si era visto addebitare anche il reato di omicidio colposo a seguito del decesso del proprio dipendente, che versava in stato di coma vegetativo dal giorno dell'infortunio.
Il lavoratore era morto a tale distanza temporale (4 anni) dall'incidente sul lavoro subito che si rendeva necessario l'accertamento del nesso causale tra l'evento mortale e la condotta penalmente rilevante del datore, posta in violazione degli obblighi di sicurezza cui era tenuto per la sua posizione di garanzia verso i dipendenti.
La Suprema Corte accoglie il ricorso fondando il proprio rinvio al giudice di appello sulla nota sentenza Franzese delle sezioni Unite che ha dettato le regole di giudizio per poter ascrivere o meno alla condotta colposa che ha determinato l'infortunio anche l'ulteriore conseguenza del decesso della vittima. In base alla teoria cosiddetta "dell'aumento del rischio" l'esame dei fatti in giudizio va realizzato dal giudice in forma controfattuale: cioè accertando le possibili conseguenze derivanti dalle diverse ipotesi della sussistenza o meno della condotta incriminata.
Quindi per affermare la responsabilità penale del datore di lavoro, anche per la morte sopraggiunta dopo un ampio lasso di tempo dall'infortunio di cui è colpevole, è necessario escludere che vi siano state altre cause indipendenti preesistenti o sopravvenute che non siano derivate o state aumentate dall'evento illecito accertato.
Nel caso concreto era mancato del tutto l'accertamento del nesso causale tra la condotta del datore e la morte del dipendente. E, nonostante la colpa del datore fosse stata la causa indiscussa del gravissimo stato di coma del dipendente, il giudice non poteva de plano "aggiungere" la responsabilità per la morte verificatasi dopo quattro anni.
Il giudice del rinvio dovrà ora stabilire se nel caso concreto sussistesse o meno una concatenazione causale del tutto slegata dal rischio innescato dalla condotta colposa del ricorrente. In effetti la persona deceduta non era stata sottoposta ad autopsia e il giudice non aveva richiesto specifiche perizie mediche per accertare il nesso di causalità tra la condotta illecita e l'evento mortale. Il tempo trascorso pone in dubbio la riconducibilità alla responsabilità penale del ricorrente senza poterla dare per scontata neanche in caso di infortunio con conseguenze così gravi come quelle verificatesi nella vicenda in esame.