Comunitario e Internazionale

Il diritto al congedo parentale non va escluso per l'assenza di un impiego alla nascita

Legittimo invece richiedere che al momento della domanda sia trascorso un periodo di lavoro di un anno e non oltre

di Paola Rossi


Uno Stato membro non può subordinare il diritto al congedo parentale alla condizione che il genitore abbia avuto un impiego al momento della nascita o dell'adozione del figlio.
Lo Stato membro può tuttavia esigere che il genitore abbia occupato un impiego, senza interruzione, per un periodo di almeno dodici mesi immediatamente prima dell'inizio di detto congedo parentale. Queste le due affermazioni della Corte di giustizia dell'Unione europea contenute nella sentenza sulla causa C-129/20.
La controversia vedeva contrapposta una madre di due gemelli alla "Cassa per il futuro dei minori" del Lussemburgo le negava il riconoscimento del diritto al congedo parentale per perché la stessa non occupava un impiego retribuito alla data della loro nascita. La donna lavorava, infatti, attraverso la stipulazione di contratti a termine, motivo per cui non risultava iscritta alla previdenza al momento della nascita dei figli. Per la Cgue, chiamata a interpretare la legittimità del regime Lussemburghese a fronte dell'accordo quadro in materia, gli Stati membri possono subordinare la concessione di un congedo parentale a una previa anzianità lavorativa che non può superare un anno e possono esigere che tale anzianità sia continuativa.
Quindi delle due condizioni richieste dal Lussemburgo non è legittima quella dell'essere impiegato al momento della nascita di un figlio mentre è legittimo dare rilevanza all'anzianità lavorativa prevedendo un perido continuativo non superiore a dodici mesi. Infatti, da tale condizione bocciata dalla Cgue deriverebbe l'esclusione tout court da un diritto di fondamentale importanza dei genitori che riprendano a lavorare solo dopo la nascita del figlio.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©