Lavoro

Il divieto di licenziamento si applica anche al mancato superamento del periodo di prova

Nota aTribunale di Roma – Sez. Lavoro RGN 26576/2020, sentenza 25 marzo 2021

di Giulia Camilli*

Segnaliamo la pronuncia per l'interessante approccio relativo ad un licenziamento comminato nel periodo di prova a seguito dell'approvazione del D.L. n. 18/2020 e delle successive norme che hanno prorogato il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Nel caso sottoposto all'attenzione del Tribunale di Roma , una lavoratrice era assunta da una struttura alberghiera in data 1° marzo 2020 con la qualifica di "impiegato/Hotel Manager con inquadramento nel livello "Quadro A" previsto dal CCNL per i dipendenti delle aziende del settore turismo e con mansioni di Hotel Manager". Al contratto di lavoro era apposto un patto di prova di durata semestrale.

A solo 11 giorni dall'assunzione, la struttura alberghiera chiudeva temporaneamente al pubblico in ragione dell'emergenza epidemiologica correlata al Covid-19. Era attivato il Fondo di integrazione salariale (FIS) a far data dal 16 marzo 2020, includendo (erroneamente) fra i destinatari anche la neoassunta; tuttavia, subito dopo la richiesta di intervento per detta specifica posizione era revocata e la lavoratrice posta in smartworking.

Il successivo 16 aprile 2020, la struttura alberghiera comunicava alla lavoratrice la propria volontà di risolvere il rapporto di lavoro nel periodo di prova, dopo 46 giorni dall'inizio dell'attività lavorativa.La lavoratrice impugnava il licenziamento adducendo la nullità del patto di prova per mancata specificazione delle mansioni oggetto di prova, nonché la nullità del licenziamento per motivo illecito determinante.

Nella parte motivata della pronuncia, il giudicante, dopo aver evidenziato come, secondo la giurisprudenza sia consentito il recesso per mancato superamento del periodo di prova (e non già il recesso in prova, come specificato nella comunicazione di licenziamento), poiché l'ordinamento non conferisce dignità giuridica all'esercizio della pura e semplice discrezionalità funzionalmente slegata dal patto di prova, assegna al lavoratore l'onere di provare di aver superato positivamente la prova e che il recesso è legato a motivi estranei al patto di prova.

Nel caso di specie, pur avendo assolto la lavoratrice l'onere probatorio circa il superamento della prova, il giudicante esaminava attentamente le doglianze sottese alla sussistenza di un motivo illecito determinante sotteso al licenziamento.

Infatti, la struttura alberghiera, a seguito della richiesta di intervento del FIS ravvisava che la lavoratrice non possedesse i requisiti per beneficiarne (ossia, essere già assunta alla data del 23 febbraio 2020) ed in data 16 aprile 2020 recedeva dal rapporto di lavoro.

Il giudice capitolino ravvisa perciò la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti, atti ad assurgere a rango di prova idonei a dimostrare che il licenziamento fosse dettato da motivi economici e come tale non consentito a fronte del disposto dell'art. 46 del D.L. n. 18/2020 come modificato dal D.L. n. 34/2020.

Pertanto, viene dichiarata la nullità del licenziamento, con condanna della struttura alberghiera a reintegrare la lavoratrice, nonché al versamento di tutte le retribuzioni maturate dalla data sino alla effettiva reintegrazione ed al pagamento delle spese processuali.

Le argomentazioni della sentenza in commento non possono che indurre tutti i datori di lavoro a valutare con particolare attenzione il recesso dal rapporto di lavoro per mancato superamento del periodo di prova durante l'emergenza pandemica che ad oggi ancora perdura, così come il divieto di procedere al licenziamento per motivi economici se non negli specifici casi da ultimo richiamati dal D.L. n.41/2021.

Varrà la pena considerare per ogni specifico caso se possa sussistere il rischio che in realtà il licenziamento ad nutum dissimuli la sussistenza di reali motivi economici tali da poter configurare il giustificato motivo oggettivo di licenziamento.

Non solo. Il vero campanello d'allarme è rappresentato proprio da quanto si sta delineando: l'approccio della giurisprudenza di merito considera in modo molto estensivo il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Oltre alla sentenza del 25 marzo ora in esame, infatti, non si possono non ricordare le pronunce rese, quanto al licenziamento del dirigente, sempre dal Tribunale di Roma, ordinanza 26 febbraio 2021 est. Conte (a mente della quale il divieto di licenziamento summenzionato interesserebbe anche i dirigenti il che, ove poi divenisse un orientamento consolidato, si rivelerebbe dirompente ed obbligherebbe a modificare tutti i principi ad oggi applicabili quanto al licenziamento dei dirigenti per ragioni oggettive) e la pronuncia del Tribunale di Ravenna del 7 gennaio 2021 relativa ad un licenziamento per sopravvenuta inidoneità alle mansioni (pedissequamente appiattendosi all'orientamento dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro di cui alla nota INL n.298/2020 che annovera detta tipologia di licenziamento fra quelle interdette a fronte dell'emergenza COVID-2019)


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*A cura dell'Avv. Giulia Camilli, Partner di Lexellent

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