Il Fisco non può eccepire sul rimborso nel giudizio d’appello
L’agenzia delle Entrate non può negare al contribuente il diritto al rimborso, sostenendo per la prima volta in appello che il credito era stato esposto in dichiarazione in modo errato e quindi soggetto a decadenza biennale. Lo ha deciso la Ctr della Puglia (sentenza 101/6/2018, presidente e relatore Leuci) che ha ritenuto l’appello del Fisco inammissibile per violazione della norma – l’articolo 57, comma 2, del Dlgs 546/1992 – che preclude alle parti la presentazione in appello nuove domande ed eccezioni, salvo quelle rilevabili d’ufficio.
I l caso
La controversia trae origine da un’istanza di rimborso presentata nel 2011 da una società in liquidazione per un credito del 2007, e rigettata dall’Agenzia. Dopo aver perso in primo grado, il Fisco censurava la sentenza perché la Ctp aveva ritenuto che, nel caso di cessazione dell’attività, il diritto del contribuente al rimborso del credito Iva (non richiesto attraverso la presentazione del modello VR) soggiacesse non al termine decadenziale di due anni, ma all’ordinario termine prescrizionale di dieci anni.
Argomentazione ritenuta inammissibile dalla Ctr in quanto “nuova” ai sensi dell’articolo 57 citato, norma che estende anche all’ambito tributario il divieto dello ius novorum sancito dall’articolo 345 del Codice di procedura civile.
La giurisprudenza
La decisione, sotto il profilo processuale, non appare in linea con la giurisprudenza di legittimità, in relazione allo ius novorum in appello nelle liti tributarie. La peculiarità del processo tributario, infatti, determina alcune diversità rispetto alle dinamiche proprie del processo civile.
In quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità dell’atto impositivo, il processo tributario è, nella sostanza, un giudizio d’impugnazione del provvedimento, in cui l’oggetto del giudizio è circoscritto ai presupposti di fatto e di diritto cristallizzati nell’avviso di accertamento e ripresa a tassazione. Ne deriva una sorta di incompatibilità strutturale per l’ufficio finanziario, attore in senso sostanziale, di formulare eccezioni nuove in appello, come tali inammissibili, «poiché le eccezioni in senso tecnico costituendo lo strumento processuale attraverso il quale si fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa od estintiva della pretesa, nel processo tributario riguarderebbero la pretesa fiscale, avanzata dalla stessa Amministrazione finanziaria» (Cassazione 440/2018). Da ciò consegue che le ragioni argomentative del Fisco non vengono, di regola, considerate eccezioni in senso stretto, ma mere difese, non soggette a preclusioni in appello (per tutte, Cassazione 679/2015).
Anche nelle liti relative al rigetto di istanze di rimborso, nelle quali il contribuente è attore in senso sostanziale, «l’amministrazione finanziaria non è vincolata a una specifica motivazione di rigetto, poiché tale motivazione attiene, comunque, all’originario thema decidendum (sussistenza o meno dei presupposti che legittimano il rifiuti di rimborso), essendo precluse esclusivamente le eccezioni in senso tecnico dalle quali derivi un mutamento degli elementi materiali del fatto», così l’ordinanza della Cassazione 8735/2017 e le pronunce 23587 e 22105 del 17.