Penale

Il pugno a gioco fermo durante la partita di calcio è reato

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di Pietro Alessio Palumbo

In caso di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva, non sussistono i presupposti di applicabilità della scriminante sportiva: a) quando si constati assenza di collegamento funzionale tra l'evento lesivo e la competizione sportiva; b) quando la violenza esercitata risulti sproporzionata in relazione alle concrete caratteristiche del gioco e alla natura e rilevanza dello stesso; c) quando la finalità lesiva costituisce prevalente spinta all'azione, anche ove non consti, in tal caso, alcuna violazione delle regole dell'attività. Con la sentenza n. 14685/2020 la Corte di cassazione chiarisce che mentre la condotta lesiva va ritenuta esente da sanzione penale allorché sia finalisticamente inserita nel contesto dell'attività sportiva, ricorre, al contrario, l'ipotesi di lesioni volontarie qualora la gara sia soltanto la "occasione" della condotta violenta mirata alla persona dell'antagonista.

I fatti della vicenda: il pugno a gioco fermo - Secondo la dichiarazione della persona offesa, durante un incontro di calcio l'imputato le aveva sferrato un pugno seguito da un colpo sul braccio, mentre il gioco era fermo, in quanto le squadre erano in attesa di una punizione. La persona offesa aveva inoltre specificato che egli stava semplicemente ponendo in essere una marcatura dell'avversario, nell'intento di proteggere la propria porta, essendo il calcio di punizione in favore della squadra avversaria. La versione dei fatti era confermata da cinque testimoni. Tribunale in prime cure e Corte di Appello poi, avevano condannato l'imputato a pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni, per aver cagionato alla persona offesa lesioni personali: dal pugno era derivato l'indebolimento permanente degli organi dentali. L'imputato ricorreva in Cassazione asserendo di aver posto in essere una ordinaria azione di smarcatura calcistica: girandosi in rotazione con le braccia aperte aveva involontariamente colpito in viso l'avversario. A suo dire si trattava in buona sostanza di una azione finalisticamente inserita nel contesto di un'attività sportiva e, come tale, evidentemente scriminata dal consenso dell'avente diritto in relazione al rischio consentito nell'ambito dell'attività sportiva.

Slealtà sportiva, "fischio" dell'arbitro, reato - In tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva, non sussistono i presupposti di applicabilità della causa di giustificazione del consenso dell'avente diritto con riferimento al cosiddetto rischio consentito, né ricorrono quelli di una causa di giustificazione in considerazione dell'interesse primario che l'Ordinamento riconnette alla pratica dello sport, nell'ipotesi in cui, durante una partita di calcio ma a gioco fermo, un calciatore colpisca l'avversario. Ciò in quanto, imprescindibile presupposto della non punibilità della condotta riferibile ad attività agonistiche è che essa non travalichi il dovere di "lealtà sportiva", il quale richiede il rispetto delle norme che regolamentano le singole discipline, di guisa che gli atleti non siano esposti a un rischio superiore a quello consentito da quella determinata pratica e accettato dal partecipante medio.

Deriva che la condotta lesiva ma esente da sanzione penale deve essere, anzitutto, finalisticamente inserita nel contesto dell'attività sportiva, mentre ricorre l'ipotesi di lesioni volontarie punibili, nel caso in cui la gara sia soltanto l'occasione dell'azione violenta diretta alla persona dell'antagonista.

In tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva che implichi l'uso della forza fisica e il contrasto anche duro tra avversari, l'area del rischio consentito è quindi delimitata dal rispetto delle regole tecniche del gioco, la violazione delle quali – si badi - va valutata in concreto, con riferimento all'elemento psicologico dell'agente il cui comportamento può essere la colposa, involontaria evoluzione dell'azione fisica legittimamente esplicata o, al contrario, la consapevole e dolosa intenzione di ledere l'avversario "approfittando" della circostanza del gioco.

In tema di lesioni cagionate colposamente a terzi nell'esercizio di attività sportive, ai fini dell'affermazione della responsabilità penale è necessario accertare se l'evento lesivo si sia o meno verificato nel corso di una "tipica azione di gioco", specificamente ricostruita in punto di fatto, non potendo essere desunta la natura colposa della condotta unicamente dalla circostanza della rilevazione di un "fallo" fischiato dall'arbitro. Ebbene nel caso in esame la condotta risulta posta in essere allorquando i giocatori delle due squadre si stavano posizionando per, rispettivamente, sfruttare la posizione e difendere la propria porta, mettendo a punto le consuete marcature in attesa che l'arbitro fischiasse per il calcio di punizione. A ben vedere dunque, il gioco era indiscutibilmente fermo, e il pugno sferrato dall'imputato era chiaramente diretto e volontario, nonché avulso da qualsiasi dinamica di gioco.

Cassazione –Sezione V penale – Sentenza 12 maggio 2020 n. 14685

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