Penale

Il reato tributario e i dipendenti dello studio professionale

Con la decisione 38444/2021 la Corte di Cassazione esamina la posizione specifica dei dipendenti di uno studio professionale ed il loro possibile coinvolgimento nei reati di carattere tributario cosa questa che appare molto importante considerato che ormai lo studio professionale si compone di numerosi addetti (addetti che in diverse posizioni gerarchiche si occupano dei clienti).

di Paolo Comuzzi*

Con la decisione 38444/2021 la Corte di Cassazione esamina la posizione specifica dei dipendenti di uno studio professionale ed il loro possibile coinvolgimento nei reati di carattere tributario cosa questa che appare molto importante considerato che ormai lo studio professionale si compone di numerosi addetti (addetti che in diverse posizioni gerarchiche si occupano dei clienti).

Nello specifico la Cassazione viene chiamata a giudicare sulla sentenza della Corte di Appello di Firenze che viene riassunta come segue: "… La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 24 maggio 2018, ha parzialmente riformato la sentenza emessa il 10 aprile 2015 dal GIP presso il Tribunale di Firenze a seguito di giudizio abbreviato, appellata, tra gli altri, dal Pubblico Ministero ed in accoglimento di tale impugnazione ha dichiarato Rosa Russo colpevole dei reati di cui agli art. 81,110 cod. pen. e 2 d.lgs. 74/2000 relativamente al concorso nel delitto in relazione al periodo di imposta 2010 e Mario Militerni colpevole dei reati di cui agli art. 416 cod. pen. e 2 d.igs. 74\2000, dichiarando l'estinzione per prescrizione dei residui reati ascritti in relazione a precedenti periodi di imposta confronti di Rosa Russo. I fatti loro addebitati erano stati commessi, secondo l'imputazione, in quanto addetti ad uno studio commerciale, prestando ausilio ai concorrenti mediante indicazioni contabili finalizzate a consentire ai clienti dello studio di evadere le imposte sui redditi avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti …".

Va detto che la decisione della Cassazione prende in esame molteplici aspetti giuridici che sono tutti di grande interesse ma noi vogliamo concentrare la nostra attenzione in merito al punto della possibile partecipazione dei dipendenti dello studio alla attività illecita che viene posta in essere (questo almeno asserisce la sentenza) proprio dallo studio professionale.

Diciamo subito che la Corte di Appello aveva ammesso il possibile concorso dei dipendenti dello studio nei reati tributari commessi dai clienti dello stesso e proprio su questo punto i condannati ricorrono ma il loro ricorso non trova il consenso della Cassazione che svolge alcune considerazioni di interesse che riportiamo nel seguito.

La Corte di Cassazione, per quanto di nostro interesse, ammette che possa sussistere questa ipotesi di concorso in quanto, almeno nel caso di specie, era del tutto evidente la consapevolezza del dipendente stesso con riguardo alla commissione di reati come emerge dalle parole "…La Corte del merito analizza nel dettaglio le dichiarazioni delle persone sentite ed indica testualmente i riferimenti alla persona della ricorrente e del Militerni, dando peraltro conto del fatto che la consapevolezza di entrambi circa l'attività illecita che veniva svolta in favore delle società degli altri imputati risultava dimostrata dai documenti rinvenuti durante le perquisizioni e, per quanto riguarda il solo Militerni, anche da conversazioni intercettate …".

Appare evidente, almeno seguendo il testo delle parole citate, che il dipendente (inteso complessivamente come i soggetti coinvolti) era del tutto consapevole della conduzione di una attività "contra legem" e la Corte di Cassazione aggiunge che "…. Con specifico riferimento alla posizione della Russo la sentenza impugnata evidenzia come i prospetti dalla stessa predisposti, dei quali aveva parlato il Della Corte nel corso della sua deposizione, venissero inviati con la dizione "fatture da ricevere", manifestando la consapevolezza che si trattava di fatture che non corrispondevano a costi realmente sostenuti, ma a costi che si sarebbero dovuti indicare nelle dichiarazioni dei redditi e che erano stati preventivamente dalla stessa calcolati. Aggiungono inoltre i giudici del gravame che in sede di perquisizione erano stati rinvenuti altri appunti redatti dalla ricorrente, il cui contenuto inequivoco viene anch'esso testualmente riportato …".

Le parole della Cassazione lasciano intendere che forse nel caso di specie il dipendente formulava anche una partecipazione attiva nell'attività illecita ponendo in essere "in proprio" una qualche attività che consentiva proprio il prodursi dell'illecito e non si limitava ad assistere altri nella commissione.

I giudici possono dare conto che "…Riguardo al Militerni, inoltre, la Corte di appello, oltre a riportare dettagliatamente le dichiarazioni di Luigi Della Corte e Francesco Pagano, riproducendole in parte anche testualmente ed evidenziandone il significato inequivocabile, ha anche preso in considerazione il contenuto dei documenti rinvenuti a seguito di perquisizione — così come avvenuto per la Russo — facendo rilevare come, in uno dei prospetti, fosse indicata la dicitura "fatturazione necessaria per il rientro" e come tali documenti venissero inviati almeno due mesi dopo il periodo a cui si riferivano, sicché era evidente che le fatture venivano emesse in data successiva a quella che vi veniva apposta …".In buona sostanza i soggetti coinvolti sono pienamente consapevoli secondo la Cassazione della attività illecita che viene posta in essere e non si limitano a "tacere" ma prendono parte alla stessa in modo attivò e con modalità di un certo rilievo.

Pensando a questa sentenza chi scrive ritiene che appaia sempre più evidente la importanza per uno studio professionale di dotarsi di un sistema di controllo interno che possa consentire un riscontro di quella che l'attività svolta dai soci e dai collaboratori e quindi impedire (salvo violazioni del modello stesso) la commissione di fatti illeciti.

*a cura del Dottor Paolo Comuzzi

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