Illegittimo affidare un appalto senza gara rinegoziando i vecchi contenuti di un contratto già esistente
La stazione appaltante non può procedere all'affidamento senza un confronto concorrenziale di appalto dai contenuti novativi. Lo ha stabilito il Tar Aquila con la sentenza n. 398 dello scorso 21 maggio. Sempre in questa occasione i giudici amministrativi hanno anche deciso che la domanda di risarcimento del danno va respinta se il ricorrente non ha assolto l'onere di provare l'esistenza di elementi oggettivi, dai quali desumere, in maniera certa, che c'è stato un pregiudizio economicamente valutabile.
Il fatto esaminato dai giudici - La Asl n. 1 Avezzano-Sulmona-L'Aquila, nella quale si sono fuse la ex Asl aquilana e la ex Asl marsicana, è divenuta - in ragione di questa fusione - titolare di due contratti, conseguenti a rispettive aggiudicazioni, con la Abbott Srl per la fornitura di «diagnostici e diagnostici con sistemi in service» necessari ai rispettivi laboratori di analisi; contratti le cui originarie scadenze sono state inizialmente differite al 31 dicembre 2012.
Il nuovo soggetto giuridico, la Asl n. 1, ha quindi rinegoziato - nell'agosto del 2012 - i contratti delle due forniture, ormai concentrati in un unico affidamento con scadenza 31 dicembre 2014, pur sottoposto alla condizione risolutiva rappresentata dall'«aggiudicazione anticipata della procedura a evidenza pubblica in corso di predisposizione» (peraltro non intervenuta alla data della nuova scadenza).
La delibera con cui è disposta le detta rinegoziazione in merito a «progetto di consolidamento tecnologico e allineamento prezzi per fornitura reagenti laboratorio analisi» è quindi impugnata innanzi al Tar dell'Aquila da altra società che contesta la violazione delle regole normativamente poste per l'esercizio, da parte delle stazioni appaltanti, del potere di proroga dei contratti scaduti o in scadenza, in attesa dell'espletamento di gare a evidenza pubblica.
In sostanza, ad avviso della società ricorrente, l'amministrazione avrebbe dovuto indire una pubblica gara, a prescindere dalla asserita convenienza del rinnovo e/o della proroga del rapporto contrattuale in essere; di qui, peraltro, anche la richiesta di risarcimento del danno.
La tesi di contro prospettata dalla Asl n. 1 è nel senso della necessità della rinegoziazione operata, per cui non si tratterebbe nemmeno di proroga o di rinnovo, e ciò per garantire i servizi indispensabili all'assistenza sanitaria, in attesa di riprogrammare in chiave unitaria i fabbisogni di territori in precedenza separatamente amministrati dalle due Asl.
La portata del divieto di rinegoziazione, rinnovo o proroga dei contratti - Quanto al merito della questione portata all'attenzione del giudice amministrativo, la sentenza muove dalla ricostruzione del quadro normativo di riferimento, dovendosi comunque ricordare che la tesi dell'amministrazione deponeva nel senso che non già di proroga o rinnovo del contratto in senso proprio si trattava, ma di una rinegoziazione resasi necessaria per garantire i servizi indispensabili all'assistenza sanitaria in attesa di riprogrammare in chiave unitaria i fabbisogni di territori già separatamente amministrati dalle due Asl, poi confluite in quella attuale: questa in estrema sintesi, ad avviso dell'amministrazione, il senso della disposta proroga dei contratti in essere.
È bene allora ripercorrere la sentenza in esame muovendo proprio da detto ultimo profilo, osservando condivisibilmente il giudice che se è vero che l'ordinamento vede nel rinnovo e nella proroga senza gara un grave vulnus alla concorrenza e all'imparzialità dell'azione amministrativa, «tanto più il disvalore sussiste nel caso in cui neanche di rinnovo o proroga si tratti, bensì di un accordo ex novo, formalizzato in affidamento diretto ». Soccorre al riguardo il richiamo al combinato disposto degli articoli 28 e 31 direttiva n. 2004/18 che impone agli Stati membri di aggiudicare gli «appalti pubblici facendo ricorso vuoi alla procedura aperta o ristretta, vuoi, nelle circostanze specifiche espressamente previste all'art. 29 della direttiva 2004/18, al dialogo competitivo, vuoi ancora, nelle circostanze specifiche espressamente elencate agli artt. 30 e 31 della medesima direttiva, a una procedura negoziata. L'aggiudicazione di appalti pubblici mediante altre procedure non è autorizzata dalla detta direttiva» (Corte di giustizia Ce, sezione III, 10 dicembre 2009, causa C-299/08, punto 29).
In altri termini, se pure a determinate condizioni può darsi proroga o rinnovo di un contratto, è certamente precluso alla stazione appaltante procedere all'affidamento senza un confronto concorrenziale di appalto dai contenuti novativi.
Gli argomenti relativi ai risparmi di spesa - Inconferenti, al riguardo, sono gli argomenti relativi ai risparmi di spesa ovvero alla temporaneità della stessa rinegoziazione. Ma anche riguardata sotto il profilo del rinnovo contrattuale, l'azione dell'amministrazione rimane nella specie comunque illegittima. Occorre qui ricordare che, per costante giurisprudenza, l'eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo dei contratti d'appalto di servizi scaduti - disposta dall'articolo 23 comma 1 della legge 18 aprile 2005 n. 62 (legge comunitaria 2004) che ha abrogato l'ultimo periodo dell'articolo 6, comma 2, della legge 24 dicembre 1993 n. 537 il quale a sua volta, a determinate condizioni, ammetteva tale possibilità entro tre mesi prima della loro scadenza - ha valenza generale e portata preclusiva di opzioni ermeneutiche e applicative di altre disposizioni dell'ordinamento che si risolvono, di fatto, nell'elusione del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici. Si osserva giustamente in sentenza che ogni deroga al divieto così introdotto di prorogare i contratti aveva comunque una portata meramente transitoria, trattandosi di proroga per periodi al massimo semestrali, riferita ai soli residui - e ormai da tempo esauriti - contratti che sarebbero scaduti entro sei mesi dalla entrata in vigore della legge n. 62 citata (novembre 2005, per l'appunto).
Vi è da aggiungere che una volta espunta dall'ordinamento la disposizione che, a determinate condizioni, consentiva il rinnovo espresso dei contratti di fornitura di beni e servizi, il sistema non prevede altra via che quella del reperimento del contraente secondo le regole dell'evidenza pubblica, e ciò comporta, a livello ermeneutico, un vincolo in sede di interpretazione di ogni altro strumento o disposizione che, in linea teorica, possa raggiungere un effetto sostanzialmente identico a quello del rinnovo, posto che la stessa logica che presiede al divieto di rinnovo esclude che a un effetto simile (e altrettanto pregiudizievole per il principio di concorrenza) possa legittimamente pervenirsi attraverso la proroga dei rapporti già in essere.
Il medesimo disfavore nei confronti degli affidamenti diretti ha segnato la interpretazione che la giurisprudenza ha dato della disposizione di cui all'articolo 1 del Dl 95/2012, come modificato in sede di conversione dalla legge 135/2012, in tema di proroga dei rapporti di fornitura mediante il raddoppio delle quantità ovvero degli importi massimi complessivi delle convenzioni Consip in corso. Peraltro, è stato espressamente affermato che gli enti del servizio sanitario nazionale, e segnatamente le aziende sanitarie locali, sono esclusi da tutte le disposizioni di cui all'articolo 1 del Dl 6 luglio 2012 n. 95 (Tar Pescara, 5 aprile 2013 n. 197).
L'ipotesi del rinnovo a regime del contratto - Né poteva soccorrere, nella specie, ad avviso della sentenza, l'ipotesi del rinnovo a regime del contratto introdotto con l'articolo 57, comma 2, lettera b) del Dlgs 163/2006, il quale, per come appunto interpretato dalla giurisprudenza, consente il rinnovo espresso a condizione che detta possibilità sia prevista ab origine negli atti di gara da cui è scaturito il contratto scaduto o in scadenza e che l'importo totale previsto per la prosecuzione del rapporto sia indicato nella lex specialis, fatta salva adeguata motivazione sul punto, e che comunque tale possibilità sia esercitata entro tre anni dalla stipula del contratto iniziale. Peraltro, vi è un avviso interpretativo che ha sottolineato come mentre il rinnovo del contratto si sostanzia nella riedizione del rapporto pregresso (generalmente in virtù di una clausola già contenuta nella relativa disciplina), la ripetizione di servizi analoghi di cui parla l'articolo 57 del Dlgs 12 aprile 2006 n. 163 postula una nuova aggiudicazione (sia pure in forma negoziata) alla stregua di un progetto di base, trattandosi, dunque, di due istituti profondamente distinti, tenendo conto che mentre il rinnovo risultava applicabile a qualsiasi rapporto e comportava una ripetizione delle prestazioni per una durata pari a quella originariamente fissata nel contratto rinnovando, la ripetizione dei servizi analoghi comporta un nuovo e diverso vincolo contrattuale, con un diverso oggetto come si ricava dal dato che la ripetizione può aver luogo solo nel triennio successivo alla stipula dell'appalto iniziale; pertanto, secondo questa lettura, il rinnovo (vietato) e la ripetizione dei servizi analoghi (ammessa a certe condizioni dal diritto di derivazione comunitaria) non sono istituti sovrapponibili.
In ogni caso, nella vicenda che ha interessato il Tar dell'Aquila si è illegittimamente operata una rinegoziazione di contratti addirittura risalenti al 2007 e al 1997, quindi dopo vari anni dalla loro stipula iniziale, alla quale sono seguite nel tempo altre proroghe, anche esse ormai scadute.
Risarcimento del danno e onere della prova - La pur conclamata illegittimità della delibera impugnata non ha comportato, tuttavia, l'accoglimento anche della domanda risarcitoria che il giudice correttamente ha disatteso per genericità della domanda stessa e per difetto di alcun sostegno probatorio. Non vi è dubbio che l'interesse sostanziale che deve risultare leso affinché la mera illegittimità del provvedimento si trasformi in illiceità rilevante ai sensi dell'articolo 2043 del Cc non si identifica esclusivamente nella situazione di spettanza del “bene finale”, ma può coincidere anche con la possibilità di conseguire un risultato favorevole (cosiddetta perdita di chance) che la mancata osservanza della legge abbia fatto venir meno. È stato osservato in giurisprudenza che nelle ipotesi di risarcimento del danno da perdita di chance a seguito di provvedimento illegittimo, la prova dell'esistenza del medesimo interviene in base a una verifica del caso concreto che faccia concludere per la sua “certezza”, la quale presuppone:
a) l'esistenza di una posizione giuridica sostanziale della quale possa assumersi essere intervenuta una lesione e, laddove vi sia esercizio di potere, tale posizione sostanziale è l'interesse legittimo;
b) quindi, l'esistenza di una lesione, che sussiste sia laddove questo possa essere a tutta evidenza e concretamente riscontrato, sia laddove vi sia «una rilevante probabilità del risultato utile» frustrata dall'agire illegittimo dell'amministrazione, con la precisazione che quanto a questo secondo aspetto, l'esame della sussistenza del danno da perdita di chance interviene:
1) attraverso la constatazione in concreto della sua esistenza, ottenuta attraverso elementi probatori;
2) oppure attraverso una articolazione di argomentazioni logiche, che, sulla base di un processo deduttivo rigorosamente sorvegliato, inducano a concludere per la sua sussistenza;
3) ovvero ancora attraverso un processo deduttivo secondo il criterio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, del cosiddetto più probabile che non, e cioè «alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata dai dati della comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali» (così, Consiglio di Stato, IV sezione, 12 febbraio 2014 n. 674).
Tutto ciò non ricorre nella specie, per aver la società ricorrente, per come puntualmente rilevato nella sentenza in esame, chiesto in maniera evidentemente del tutto generica il ristoro per equivalente economico per la perdita della chance di aggiudicazione dell'appalto, con riserva (poi non soddisfatta) di indicare gli importi e indicare ulteriori titoli di danno.
Infatti, nelle gare d'appalto al fine di ottenere il risarcimento per perdita di una chance è necessario che il danneggiato dimostri, anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate, la sussistenza di un valido nesso causale tra la condotta lesiva e la ragionevole probabilità del conseguimento del vantaggio alternativo perduto e provi, conseguentemente, la sussistenza, in concreto, dei presupposti e delle condizioni del raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita (della quale il danno risarcibile deve configurarsi come conseguenza immediata e diretta) (cfr. Consiglio di Stato, IV sezione, 15 settembre 2014 n. 4674).
Va dunque condiviso l'assunto di cui alla sentenza in esame per cui la proposta domanda risarcitoria va respinta per non aver la parte ricorrente assolto debitamente l'onere di provare, anche in via presuntiva, l'esistenza di elementi oggettivi, dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile.
Di qui, in definitiva, l'accoglimento del ricorso in ragione della rilevata illegittimità della delibera impugnata e, in uno, il rigetto della domanda risarcitoria.
Tar Abruzzo – Sezione I – Sentenza 21 maggio 2015 n. 398