Impiego occasionale del clandestino non punibile
Non è punibile per la particolare tenuità del fatto chi occupa come dipendente nella sua ditta individuale, per breve tempo, il fratello extracomunitario che ha solo il “visto” turistico ma non il permesso di soggiorno. La Corte d’appello di Trento (sentenza 189 del 17 luglio) ribalta il severo verdetto del tribunale che aveva condannato il ricorrente a 4 mesi di reclusione e 3.500 euro di multa per aver violato la norma del Testo unico sull’immigrazione (articolo 22 comma 12 del Dlgs 286/1998) che punisce con la reclusione e la multa chi impiega personale straniero senza permesso di soggiorno.
L’impiego illecito era stato scoperto dagli ispettori del lavoro, nel corso di un sopralluogo nell’impresa edile dove l’imputato dava lavoro ad altri tre fratelli con le “carte” in regola. Il quarto fratello, occupato da un solo giorno, aveva invece solo un permesso per turismo.
La difesa ricorda che lavoratore “clandestino” aveva dato una mano ai fratelli, che svolgevano un lavoro duro, per dimostrare la sua riconoscenza per l’ospitalità. Il ricorrente attira l’attenzione dei giudici sugli obiettivi della norma: reprimere lo sfruttamento del lavoro clandestino ed evitare l’illecita concorrenza nei confronti delle maestranze regolarmente assunte. Nel caso esaminato il fratello impiegato in “nero” non era clandestino perché aveva il permesso turistico. La difesa aveva dunque invocato l’applicazione dell’articolo 131-bis, in considerazione del poco tempo per il quale si era protratta la condotta contestata e dunque la scarsa rilevanza dal punto di vista del danno cagionato da un comportamento non abituale.
La Cassazione pur confermando la violazione, non scusabile dal punto di vista giuridico, la considera non punibile. La Corte d’appello precisa che la norma del testo unico sull’immigrazione è violata a prescindere dalla durata breve della prestazione. La lettera dell’articolo 22 attribuisce «in modo inequivoco rilievo all’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa piuttosto che al momento di costituzione del rapporto di lavoro». La norma come presupposto neppure il dolo specifico del perseguimento di un ingiusto profitto, ma solo il dolo generico: basta il solo fatto di impiegare uno straniero irregolarmente presente sul territorio italiano.
Non c’è dubbio dunque che, in punto di diritto, il ricorrente fosse “colpevole”. Ma a “salvarlo” ci sono sia l’entità della pena, compatibile con il tetto dei 5 anni fissati per l’applicabilità dall’articolo 131-bis sia la particolare tenuità del fatto, commesso nell’ambito di un rapporto familiare da un soggetto senza precedenti penali specifici.
Corte d'appello di Trento – Sentenza 189/2017