Penale

Impugnazione via Pec inammissibile anche dopo il Dl Ristori: manca il decreto attuativo Dgsia

Così la sentenza n. 32566 la Cassazione – per la prima volta dall'entrata in vigore del Dl 137/2020 – ha ribadito il proprio rigoroso orientamento

di Aldo Natalini

Motivi nuovi d’impugnazione inammissibili se depositati via pec, anche all’indomani del Dl Ristori: fin quando manca l’apposito decreto direttoriale della DGSIA previsto dall’articolo 24, comma 4, del Dl n. 137/2020 ai fini dell’individuazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata da utilizzare, difetta la base normativa per procedere ritualmente al previsto upload telematico. Ed in ogni caso, «è dubbio che un provvedimento dirigenziale di natura tecnica [frattanto emanato dalla DGSIA in data 9 novembre, NdA] possa derogare a precise disposizioni di rango primario che regolano il deposito di significativi atti del processo penale come le impugnazioni».

Così la sentenza n. 32566/2020, depositata il 19 novembre, con cui la I sezione penale della Cassazione – per la prima volta dall’entrata in vigore del decreto legge n. 137/2020 – ha ribadito il proprio rigoroso orientamento che reputa inammissibile la proposizione tramite posta elettronica certificata dei mezzi di gravame, stante la tassatività e l’inderogabilità delle forme di deposito rituale le quali – ecco il novum – non sono state derogate dalle previsioni introdotte dall’articolo 24, comma 4, del Decreto Ristori in rilevata mancanza[alla data di celebrazione dell’udienza in Corte: 3 novembre 2020] dell’apposito provvedimento direttoriale,previsto dal citato comma 4, di individuazione degli indirizzi pec abilitati alla ricezione e delle specifiche tecniche relative ai formati degli atti che possono essere trasmessi (mentre è stato emesso il provvedimento DGSIA in data 2 novembre previsto dall’articolo 23 dello stesso decreto). Pertanto, in mancanza del repository documentale della Corte di Cassazione deputato al deposito telematico degli atti trasmessi via pec, gli “ermellini” di Piazza Cavour hanno “derubricato” i motivi aggiunti inviati dal Pm ricorrente alla stregua di una memoria di parte.

 La vicenda

Nell’ambito di una fattispecie cautelare – relativa a procedimento per reati di associazione con finalità di terrorismo, danneggiamento seguito da incendio ed atti vandalici compiuti nell’ambito di una manifestazione di piazza nel bolognese - il Pubblico Ministero procedente, dopo aver proposto rituale ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del locale Tribunale del riesame (di annullamento del provvedimento cautelare genetico), proponeva via pec motivi aggiunti  trasmettendoli alla cancelleria della Corte di Cassazione.

 

La tassatività delle modalità di deposito delle impugnazioni

In via preliminare, la Suprema Corte ha dato atto dell’inammissibilità dei nuovi motivi inviatidal Pm ricorrente alla cancelleria della Cassazione tramite pec richiamando anzitutto la propria consolidata giurisprudenza ai sensi della quale «è inammissibile il ricorso per cassazione proposto mediante l’uso della pec, in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’articolo 583 del Cpp, sono tassative ed inderogabili» (Cassazione, sezione IV penale, n. 52092/2019, Ced 277906; analogamente, sull’inammissibilità dell’opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo pec v. Cassazione, sezione IV penale, n. 21056/2018, Ced 272740; sull’inammissibilità dell’opposizione a provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato v. Cassazione, sezione IV penale, n. 10682/2020, Ced 278649).

Con particolare riferimento ai motivi aggiunti trasmessi - come nel caso di specie -tramite posta elettronica certificata, la Corte regolatrice del resto anche da ultimo ha ribadito la loro inammissibilità «atteso che l’utilizzo di tale mezzo è consentito unicamente per le notificazioni e comunicazioni da effettuarsi a cura della cancelleria» (Cassazione, sezione I penale, n. 2020/2020, Ced 278163).

Con la sentenza in commento la Suprema Corte ribadisce altresì l’importanza dell’accertamento dell’identità di colui che sottoscrive l’atto impugnato, così che la procedura di deposito dell’atto assume una funzione essenziale e strumentale per verificare la legittimazione di colui che propone l’impugnazione, che non può essere sostituita dalla semplice trasmissione dell’atto stesso per mezzo della posta elettronica o del fax. Infatti – motivano i supremi giudici – la pec «non attribuisce la paternità del documento trasmesso, svolgendo unicamente la funzione di certificare la provenienza del messaggio dalla casella di posta elettronica del mittente e la ricezione di esso da parte del destinatario (articolo 48 del Codice dell’amministrazione digitale, approvato col Dlgs n. 82/2005). La paternità è viceversa attribuita dalla firma digitale che, tuttavia, in forza del DM n. 44/2011, non può essere utilizzata nel processo penale fino a quando non sarà adottato il già citato decreto previsto dall’articolo 35 del regolamento n. 44/2011».

 

Il dictum: il Dl Ristori ed i dubbi sulla portata degli strumenti attuativi

Rispetto a tale costante orientamento giurisprudenziale con la sentenza in commento i Supremi giudici si fanno carico di valutare l’eventuale portata innovativa dell’ articolo 24, commi 4 e 5, del Dl n. 137/20 (Decreto Ristori uno, in fase di conversione in legge), che consente il deposito mediante posta elettronica certificata inserita nel registro generale degli indirizzi di pec di cui all’articolo 7 del Dm n. 44/2011.

Il riferimento contenuto nella novella a «tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati» - argomenta la Corte – è frutto di un intervento normativo di urgenza volto a contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19: la disposizione concernente il deposito telematico a valore legale di cui al citato articolo 24 del Dl n. 137/2020 per la Cassazione è rivolta espressamente al solo settore penale e, in particolare, al deposito degli atti relativi alla fase ex articolo 415-bis del Cpp presso gli uffici della Procura della Repubblica a ciò abilitati all’upload telematico dei documenti.

Compiendo un’interpretazione interpretazione restrittiva delle previsioni contenute nel citato articolo 24 gli “ermellini” sostengono che «siccome il comma 1 riguarda il deposito degli atti presso la Procura nella sola fase di cui all’articolo 415-bis del Cpp, le restanti disposizioni potrebbero essere interpretate alla luce del contesto di applicazione stabilito all’esordio dell’articolo e applicarsi, perciò, soltanto per il deposito negli (altri) uffici della Procura che non siano dotati del Portale Deposito Atti Telematici».

Inoltre, valorizzando il principio di gerarchia delle fonti, anche in presenza di un provvedimento del DGSIA – che, giova segnalarlo, frattanto è stato emanato in data 9 novembre 2020 (quindi successivamente alla celebrazione dell’udienza definita con la sentenza qui commentata) – «è dubbio che un provvedimento dirigenziale di natura tecnica possa derogare a precise previsioni di rango primario che regolano il deposito di significativi atti del processo penale come le impugnazioni, per i quali sono stabilite modalità e forme particolari». La disposizione di livello primario (articolo 4 del Dl n. 193/2009) non risulta espressamente derogata, quanto all’uso della PEC, dal Dl Ristori. In altre parole – conclude la Cassazione – «l’intervento d’urgenza non ha modificato le norme processuali del codice di rito, né ha inteso derogare a tale specifica regolamentazione o a quella introdotta dal Dm n. 44/2011, sicché le innovazioni introdotte vanno lette e interpretate nei limiti in cui alle stesse possa darsi applicazione nel rispetto nelle clausole generali e dei principi espressi dal codice di procedura penale, cui è attribuita primazia nella regolamentazione degli istituti del processo».

Una lettura tranciante, quella odierna, che – se confermata (e a meno di interventi correttivi in corso di conversione in legge del Dl Ristori uno) – potrebbe annullare gli effetti dell’individuazione – frattanto formalizzata – degli indirizzi di posta elettronica certificata utilizzabili per il deposito con valore legale degli atti, documenti e istanze comunque denominati di cui all’articolo 24, comma 4, del Dl Ristori uno (in fase di conversione), riportati nell’elenco di cui all’allegato 1 del provvedimento direttoriale in data 2 novembre scorso: elenco che contiene gli indirizzi di posta elettronica certificata assegnati ai seguenti Uffici Giudiziari:

- Corte di Cassazione;

- Procura Generale presso la Corte di Cassazione;

- Corti di Appello;

- Procure Generali presso la Corte di Appello;

- Tribunali;

- Procure della Repubblica presso il Tribunale;

- Tribunali per i Minorenni;

- Procure della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni;

- Tribunali e Uffici di Sorveglianza.

- Giudici di Pace

 

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