Penale

Impugnazioni, l’abrogazione dell’obbligo di contestuale elezione di domicilio non è retroattiva

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 41411 depositata oggi, respingendo il ricorso dell’imputato

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di Francesco Machina Grifeo

In assenza di disciplina transitoria, l’obbligo della contestualità tra l’atto di impugnazione e l’elezione di domicilio, previsto nel 2022 dalla riforma Cartabia, e poi abrogato nel 2014, avendo natura processuale, non segue il principio della applicazione della norma più favorevole. Va dunque dichiarato inammissibile il ricorso carente dell’elezione di domicilio, anche se successivamente allegata. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 41411 depositata oggi, respingendo il ricorso dell’imputato contro la decisione della Corte di appello che aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione della sentenza di condanna emessa in primo grado dal Tribunale di Milano per furto aggravato.

Il ricorrente ha riconosciuto di non aver presentato l’elezione di domicilio unitamente all’appello, aggiungendo però che la stessa era stata depositata a mezzo Pec; e che successivamente al momento della notifica del decreto di citazione era stata depositata una nuova elezione di domicilio, da ritenersi idonea ai sensi dell’articolo 581, co. 1-ter, Cpp, che la imponeva “ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio”.

Per la IV Sezione penale però il ricorso non coglie nel segno. La decisione ricorda che l’articolo 581-ter C.p.p. («Con l’atto d’impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio») è stato inserito per effetto dell’articolo 33, co. 1, lett. d), del Dlgs 150/2022, applicabile (ai sensi della disciplina transitoria contenuta nell’articolo 89, comma 3) alle impugnazioni proposte dopo l’entrata in vigore dello stesso decreto.

Successivamente, ricorda la Corte, per effetto dell’articolo 2, comma 1, lett. o), della legge 9 agosto 2024, n. 114, la disposizione è stata abrogata.

In assenza di disciplina transitoria e stante la natura processuale della disposizione, prosegue la sentenza, “ne consegue che si applica il principio in base al quale tempus regit actum, per effetto del quale l’applicazione della norma sopravvenuta alle fattispecie anteriori alla riforma non è regolata dal principio della necessaria retroattività della disposizione più favorevole”.

Pertanto, considerato che l’appello è stato presentato a maggio 2024, alla fattispecie in esame si applica l’abrogato testo dell’articolo 581, co. 1-ter, Cpp, inserito dal Dlgs n.150 del 2022.

In definitiva, ricapitola la Corte, è pacifico che l’elezione di domicilio per la presentazione dell’atto di impugnazione non sia stata depositata contestualmente all’appello, perfezionandosi quindi la già prevista causa di inammissibilità dell’impugnazione.

Inoltre, la giurisprudenza di Cassazione successiva all’entrata in vigore della riforma Cartabia, è infatti concorde nell’affermazione “in base alla quale la dichiarazione o l’elezione di domicilio prevista dall’art. 581, comma 1-ter, cod.proc.pen., dovesse essere necessariamente depositata contestualmente all’atto di impugnazione, sicché la sua successiva allegazione, pur se in data antecedente all’inizio del giudizio di impugnazione, determinava comunque l’inammissibilità del gravame” (n. 1177/2023).

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