Responsabilità

In sede di legittimità non si può contestare la Ctu solo per la diversa valutazione del danno da parte del consulente della controparte

Lo ha confermato l'ordinanza n. 1405 del 22 gennaio 2021 depositata dalla Sezione Lavoro della Cassazione

di Mauro De Filippis

In materia di consulenza tecnica d'ufficio gli errori e le lacune della stessa possono tradursi in vizio di motivazione e dunque sono suscettibili di esame in sede di legittimità solamente quando la consulenza, fatta propria dal giudice, presenti lacune di carattere epistemico.
E' quanto stabilito dall'ordinanza n. 1405 del 22 gennaio 2021 depositata dalla Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha recepito in materia di riesame in sede di legittimità della consulenza tecnica d'ufficio gli oramai consolidati orientamenti giurisprudenziali in materia (ex multis Cass. nn. 3307 del 2012, Cass. n. 22707 del 2010, Cass. n. 569 del 2011).

Il caso esaminato
La vicenda presa in esame dagli Ermellini origina dalla sentenza n. 435 della Corte di appello di Genova che confermava la sentenza del Tribunale di Massa, che, pur avendo accolto la domanda svolta contro il datore di lavoro dai congiunti del lavoratore deceduto per l'esposizione ad amianto ed ad altre sostanze morbigene sul luogo di lavoro, aveva respinto la domanda di risarcimento del danno morale soggettivo e del danno esistenziale.
Con specifico riferimento all'espletata Ctu i ricorrenti lamentano la violazione degli articoli 2087, 2059, 2697 cod.civ., 115 116 cod proc.civ., 41 cod. pen., in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., avendo, la Corte territoriale, integralmente recepito le deduzioni della c.t.u. medico-legale, senza prendere posizione sulle contestazioni puntuali espresse dal lavoratore attraverso il consulenza tecnica di parte.

Inammisibilie secondo la Cassazione
Gli Ermellini ritengo detta censura inammissibile.
Invero la Ctu sarebbe suscettibile di esame in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione della sentenza, che non si manifesta quando si prospettino semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l'entità e l'incidenza del dato patologico e la valutazione della controparte.
La Suprema Corte ribadisce dunque il consolidato orientamento secondo cui la sentenza può considerarsi viziata allorquando il giudice abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio e ciò può dirsi solo quando sia ravvisabile una palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o una omissione degli accertamenti strumentali dai quali non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi. Al fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice (Cass. n. 23990 del 2014; Cass. n. 1652 del 2012)
Invero tali contestazioni si rivelerebbero ad una diversa valutazione delle risultanze processuali che rappresenta però una mera richiesta di riesame del merito della controversia, inammissibile in sede di legittimità (Cfr. ex plurimis, Cass. n. 14374 del 2008, Cass. n. 7341 del 2004 e Cass. n. 15796 del 2004).
La Suprema Corte afferma che dunque la Corte territoriale si era conformata ai principi innanzi detti con motivazione logicamente coerente e scientificamente fondata sulla documentazione acquisita ed il ricorso è stato dunque dichiarato inammissibile con condanna alle spese del soccombente.

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