Civile

Inammissibile l’appello proposto con un ricorso-fiume di 200 pagine

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di Alessia Urbani Neri

È inammissibile un atto di appello di oltre 200 pagine, senza struttura logica e privo di una chiara identificazione dei motivi d’impugnazione della sentenza di primo grado. È quanto afferma la Ctr della Toscana nella sentenza 918/1/2019, riaffermando i principi generali di sinteticità degli atti processuali (presidente Florio, relatore Andronio).

Il caso
Un contribuente aveva impugnato l’invito di pagamento del contributo unificato. In particolare, aveva sollevato censure attinenti a vizi formali legati alla nullità della notifica dell’atto, alla prescrizione (o decadenza) dal potere di recupero e all’estinzione del diritto.

Il collegio, però, ha dichiarato l’inammissibilità dell’atto di appello, composto di «ben 202 pagine», «privo di una struttura logica intelligibile» e pieno di «citazioni normative e di giurisprudenza, nonché deduzioni la cui pertinenza rispetto all’oggetto dell’appello non risulta chiaramente individuabile»

Il giudice d’appello, infatti, è tenuto a sì a interpretare l’atto nel suo complesso, ma a patto che le ragioni di censura siano ricavabili in termini inequivoci (anche in forma implicita); cosa non accaduta nel caso in esame.

La chiarezza del ricorso
È principio ormai noto in giurisprudenza che l’enunciazione dei motivi di appello nel giudizio tributario – pur potendo essere sommaria – deve essere articolata in modo specifico, così da consentire l’individuazione:
dei capi del provvedimento giurisdizionale che si intendono censurare;
delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno dell’illegittimità della sentenza di primo grado.

Invero, la Suprema corte ha più volte affermato che nel processo tributario, l’indicazione dei «motivi specifici» dell’impugnazione (richiesta dall’articolo 53 del Dlgs 546/1992) non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello. Piuttosto, è richiesta una esposizione chiara e univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza.

A differenza dell’appello civile, per cui l’articolo 342 del Codice di procedura civile impone la specifica enunciazione dei motivi di impugnazione, l’articolo 53 citato va interpretato restrittivamente, in conformità all’articolo 14 delle preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (Cassazione 707/2019 e 20379/2017). Ne consegue che non può affermarsi l’inammissibilità dell’appello per aver il contribuente riproposto gli argomenti già svolti nel giudizio di primo grado, considerato che essi si ponevano in contrasto con le statuizioni della sentenza impugnata e ne costituivano implicita critica (Cassazione, ordinanza 12485/2019)

Tuttavia, l’appello, comportando un riesame dell’intero giudizio di primo grado, richiede che l’esposizione dei fatti e dei motivi di doglianza della sentenza di prima istanza avvenga in modo chiaro e inequivoco, in modo da consentire all’interprete di comprendere le ragioni di contestazione della pronuncia impugnata.

Lo conferma, del resto, l’adozione - citata nella pronuncia - di una direttiva da parte del primo presidente della Cassazione per assicurare «la sinteticità dell’esposizione negli atti difensivi», sulla stessa falsariga della risoluzione adottata dal Csm il 5 luglio 2017.

Ctr Toscana 918/1/2019

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