Civile

Indebito arricchimento per la cessione del “sepolcro gentilizio”

La Corte di cassazione, ordinanza n. 190 depositata oggi, ricorda la particolare forma di comunione fra i contitolari, caratterizzata da intrasmissibilità del diritto, per atto tra vivi o “mortis causa”, imprescrittibilità e irrinunciabilità

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di Francesco Machina Grifeo

Contro l’alienazione, non possibile anche se a titolo gratuito, del sepolcro gentilizio da parte degli eredi, il terzo può tutelarsi attraverso l’“azione di indebito arricchimento”. L’unica possibile considerata la nullità dell’atto di vendita. Lo ha ribadito la Terza sezione civile, ordinanza n. 190 depositata oggi, accogliendo (con rinvio) il ricorso della vedova di uno dei fratelli che avevano ereditato la tomba di famiglia dopo la morte del padre.

Secondo la ricorrente i “germani”, dopo la morte del marito, con “illecito, ingannevole ed inammissibile”, approfittando della sua “buona fede”, l’avrebbero indotta a ristrutturare il sepolcro dopo averle ceduto “gratuitamente i diritti di proprietà e di uso spettanti” sull’edicola sita in un piccolo comune laziale. Ella aveva acconsentito, sopportando “spese ed oneri, nella convinzione di operare quale unica titolare dei diritti sull’edicola cimiteriale della famiglia”. Ad opera completata tuttavia i fratelli ne avevano rivendicato la proprietà in quanto figli del fondatore (al punto che ella seppelliva altrove la salma del coniuge).

A questo punto però la donna intraprendeva una azione giudiziale ottenendo ragione presso il tribunale di Cassino che dopo aver dichiarato la nullità della scrittura privata ha condannato i convenuti al pagamento dei 25mila euro richiesti per la ristrutturazione. La Corte di appello di Roma, tuttavia, ribaltava la decisione affermando che “la pretesa attorea nasceva dal prospettato illecito aquiliano degli allora convenuti, che l’avrebbero indotta con l’inganno a sostenere la spesa per la manutenzione dell’edicola, contro i quali dunque avrebbe potuto agire per il risarcimento del danno”, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2043 cod. civ..

Per la ricorrente però la strada era obbligata. L’azione di indebito arricchimento (ex articolo 2041 c.c.), infatti, era l’unica praticabile, considerata la nullità del contratto e l’assenza di un titolo alternativo valido. Una lettura condivisa dalla Suprema corte che ha accolto i rilievi della donna.

“Nel sepolcro ereditario lo ‘ius sepulchri’ – spiega la Terza Sezione civile - si trasmette nei modi ordinari, per atto ‘inter vivos’ o ‘mortis causa’, come qualsiasi altro diritto, dall’originario titolare anche a persone non facenti parte della famiglia”.

Diversamente, prosegue la decisione, “nel sepolcro gentilizio o familiare - tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio - lo ‘ius sepulchri’ è attribuito, in base alla volontà del testatore, in stretto riferimento alla cerchia dei familiari destinatari del sepolcro stesso, acquistandosi dal singolo ‘iure proprio’ sin dalla nascita, per il solo fatto di trovarsi col fondatore nel rapporto previsto dall’atto di fondazione o dalle regole consuetudinarie, “iure sanguinis” e noniure successionis”, e determinando una particolare forma di comunione fra contitolari, caratterizzata da intrasmissibilità del diritto, per atto tra vivi o “mortis causa”, imprescrittibilità e irrinunciabilità”.

“Tale diritto di sepolcro – conclude l’ordinanza - si trasforma da familiare in ereditario con la morte dell’ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto, per l’ulteriore trasferimento, alle ordinarie regole della successione mortis causa”.

Con una precedente decisione la Suprema Corte aveva affermato che: “In assenza di disposizioni specifiche da parte del fondatore, lo ‘ius sepulchri’ d’indole gentilizia spetta, oltre che al fondatore stesso, ai componenti del nucleo familiare strettamente inteso, nel quale debbono farsi rientrare tutte le persone legate al fondatore da vincolo di sangue o legate tra loro da vincoli di matrimonio. Tale diritto, pur non essendo precisato in una disposizione di legge, trova il suo fondamento in un’antica consuetudine, conforme al sentimento comune, e nelle esigenze di culto e pietà dei defunti che, quando esercitate dai prossimi congiunti, realizzano, allo stesso tempo, la tutela indiretta di un interesse concernente la persona del defunto e l’esigenza sociale di far scegliere ai soggetti più interessati la località ed il punto ove manifestare i sentimenti di devozione verso il parente deceduto. Nella specie, la Cassazione aveva escluso il diritto della nuora della sorella del fondatore del sepolcro gentilizio ad essere sepolta nella tomba di famiglia, non rilevandosi alcun rapporto di consanguineità della stessa con il fondatore (n. 8020/2021).

E in altra arresto, ancora più risalente, la Cassazione chiariva che “lo “ius sepulchri”, cioè il diritto alla tumulazione (autonomo e distinto rispetto al diritto reale sul manufatto funerario o sui materiali che lo compongono), deve presumersi di carattere non ereditario, ma familiare, in difetto di specifica diversa volontà del fondatore, e quindi considerarsi sottratto a possibilità di divisione o trasmissione a terzi non legati ‘iure sanguinis’ al fondatore medesimo, mentre resta in proposito irrilevante la eventuale cedibilità prevista nel regolamento o nell’atto di concessione comunale. A tal fine l’individuazione della natura di una cappella funeraria come sepolcro familiare o gentilizio oppure come sepolcro ereditario costituisce apprezzamento di mero fatto non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, qualora sorretto da motivazione sufficiente e immune da vizi logico – giuridici (n. 1789/2007)

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