Penale

Interdizione perpetua dai pubblici uffici, i dubbi alla Consulta

La Cassazione rinvia per un’esame di legittimità alla Corte costituzionale, nel mirino l’automatismo previsto dall’articolo 317-bis del Codice penale

di Patrizia Maciocchi

Va alla Consulta l’automatismo della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici per il reato di corruzione. La Cassazione ( ordinanza 37796) rinvia alla Corte costituzionale l’articolo 317-bis del Codice penale, nella formulazione precedente alle modifiche introdotte dalla legge 3/2019 la cosiddetta Spazzacorrotti . Quest’ultima norma ha comunque lasciato inalterato l’automatismo e inasprito il trattamento , allargando il paniere dei reati e abbassando a due anni, rispetto a tre, il tetto della pena principale oltre il quale scatta il “daspo” a vita. La Spazzacorrotti prevede però un’incidenza nelle sanzioni interdittive della particolare tenuità e del ravvedimento operoso. I dubbi riguardano l’articolo 317-bis, rispetto alla corruzione (articolo 319 del Codice penale) per la “fissità” e la “perpetuità” della sanzione: una rigidità che non sembra compatibile «con il volto costituzionale della sanzione penale» come disegnato dalla Consulta dal 1980, fino alle più recenti sentenze, con le quali il giudice delle leggi si è espresso in senso sfavorevole all’automatismo. L’impianto analizzato prevede pene che difficilmente scendono sotto i tre anni e la pena accessoria perpetua finisce per essere identica anche per condotte di minor disvalore. Le interdizioni, in rapporto ai reati dei colletti bianchi, lesivi di beni di rilievo collettivo ed economico, dovrebbero essere concepite - precisa la Cassazione - in relazione al fatto commesso e alla sua gravità e non solo in rapporto all’autore. La risposta punitiva deve essere dunque proporzionata e rispettosa della funzione rieducativa. La risposta è invece sproporzionata rispetto ai comportamenti tipizzati e dunque in contrasto con gli articoli 2 e 27 della Costituzione, in relazione a fatti meno gravi. La Cassazione è consapevole della difficoltà di intervenire sulla norma censurata: un unicum in quanto pena accessoria perpetua e come tale strutturata nel sistema punitivo. Per il presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli l’automatismo è il punto critico della norma censurata

«Il dubbio di legittimità costituzionale riguarda l’automatica applicazione di una pena accessoria perpetua, che limita fortemente la capacità della persona, anche in materia elettorale, e può essere non proporzionata rispetto alla concreta gravità dei fatti. L’automatismo sottrae al giudice ogni possibilità di valutazione, con l'effetto di non consentire la proporzionalità e la individualizzazione del trattamento sanzionatorio. Ne risulterebbero violati il principio di eguaglianza, sotto il profilo della ragionevolezza, e la finalità della pena. La definizione dei reati e la determinazione delle pene rispondono al principio di stretta legalità, vale a dire che la loro previsione e disciplina rientrano nella discrezionalità del Parlamento. La Corte costituzionale può tuttavia valutarne la ragionevolezza e, se condividesse l’orientamento della Corte di cassazione, potrebbe superare l’automatismo dichiarando la incostituzionalità della disposizione nella parte in cui non prevede la l condanna alla pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici sino a quella perpetua, restando libero il legislatore di stabilire diversamente il minimo». La sentenza della Consulta potrebbe a avere effetti anche sulla Spazzacorrotti.

«Una eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale - dice cesare Mirabelli - potrebbe colpire anche le altre analoghe disposizioni successivamente emanate dal legislatore, la cui illegittimità deriva come conseguenza della decisione adottata».

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