Penale

Interdizione perpetua, rigidità da rivalutare anche per il passato

La Corte costituzionale, <a uuid="" channel="" url="https://i2.res.24o.it/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/QUOTIDIANI_VERTICALI/Online/_Oggetti_Embedded/Documenti/2021/12/03/pronuncia_232_2021.pdf" target="">con la sentenza n. 232, depositata ieri e scritta da Nicolò Zanon</a>, osserva che le modifiche introdotte con la «Spazzacorrotti» rendono sicura l’applicazione di una maggiore flessibilità

di Giovanni Negri

La interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati di corruzione supera il test della Corte costituzionale. Da valutare infatti c’è l’impatto delle modifiche normative introdotte per effetto della legge «Spazzacorrotti», la n. 3 del 2019. L’automatismo era stato contestato dalla Cassazione, in un caso di sanzione oggetto di patteggiamento, per la quale la rigidità e l’automatismo delle misure interdittive era in contrasto, tra l’altro, con la funzione rieducativa della pena.

In particolare l’articolo 317-bis del Codice penale, inserito nel 1990, prevede la sanzione accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici quando la pena principale inflitta non è inferiore a tre anni di reclusione.

Questa disciplina sarebbe manifestamente irragionevole in quanto, per la Cassazione, impone al giudice l'applicazione di una sanzione perpetua che può essere sproporzionata rispetto alla gravità del fatto, in violazione dei principi di proporzionalità e della necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio.

Ora la Corte costituzionale, con la sentenza n. 232, depositata ieri e scritta da Nicolò Zanon, osserva che le modifiche introdotte con la «Spazzacorrotti» rendono sicura l’applicazione di una maggiore flessibilità, escludendo l’obbligo di infliggere le misure interdittive perpetue, nel caso di patteggiamento ordinario, ed è almeno possibile l’estensione del potere discrezionale del giudice anche al patteggiamento allargato, nel quale l’accordo processuale, come nel caso approdato alla Consulta, si riferisce a pene detentive di entità superiore ai due anni .

Di questo è convinta l’Avvocatura dello Stato e in questo senso sembra andare il tenore letterale degli articoli 444, comma 3-bis, e 445, comma 1-ter, del Codice di procedura penale, dopo le modifiche. Nessuna delle due disposizioni, infatti, fa esplicito riferimento a specifiche soglie di pena detentiva concordata tra le parti.

Tanto che, in sede di parere sulla «Spazzacorrotti», il Consiglio superiore della magistratura segnalava come la formulazione del nuovo articolo 444 «che richiama specificamente e senza limitazioni di pena taluni delitti contro la p.a., rende possibile un’interpretazione che includa nel suo ambito di operatività non solo il caso del patteggiamento a pena contenuta nei due anni (...) ma anche le ipotesi di patteggiamento a pena superiore a due anni di reclusione» (Parere del 19 dicembre 2018).

La questione viene così giudicata inammissibile perché la Cassazione avrebbe dovuto considerare espressamente l’impatto delle novità in vigore dal 2019 sul patteggiamento allargato.

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