Famiglia

Interessi del minore al giudice, superate le deleghe eccessive al Ctu

Il figlio non è più «soggetto alla potestà dei genitori» ma ora entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale

a cura diGiorgio Vaccaro

Il nostro sistema di leggi ha messo in primo piano la tutela del diritto dei minori – sin dalla riforma introdotta con la legge 54/2006 – con il prevedere come, al cessare di una convivenza o di un matrimonio in presenza di figli minori, il canone che garantisce a questi la più adeguata crescita, è quello della “bigenitorialità”: dunque, da ormai quindici anni, l’affidamento del figlio ad entrambi i genitori costituisce un vero e proprio paradigma giuridico che assicura al figlio di mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori.

Con l’entrata in vigore della riforma sulla filiazione (legge 154/13, operativa dal 7 febbraio 2014) – che ha sostituito in toto la 54/2006 inserendo questa nell’articolato del Codice civile – vediamo come il figlio non sia più «soggetto alla potestà dei genitori sino alla maggiore età o alla emancipazione» ma si preveda, al nuovo articolo 316 del Codice civile, solo come “entrambi i genitori” abbiano «la responsabilità genitoriale che è esercitata di comune accordo…».

Dobbiamo, dunque, all’incessante opera dei nostri Tribunali di merito ed al successivo lavoro della Corte della cassazione, l’aver riempito di contenuto l’allora nuovissimo concetto della responsabilità genitoriale.

Posta la vigenza del principio dell’affido condiviso, come principio di legge da applicare nella generalità dei casi, è agevole comprendere come il tema della «inidoneità all’esercizio della responsabilità genitoriale» sia centrale: accertare o meno tale “inidoneità” all’esercizio della responsabilità genitoriale è l’elemento chiave per disporre un “affidamento ex lege” o un “affidamento esclusivo” e la delicatezza di tale accertamento è il nodo della tutela che i tribunali hanno l’obbligo di assicurare a tutti i figli minori, nel caso della separazione dei loro genitori. Così inquadrate le previsioni normative che regolano la tutela dei figli, in tutti i casi di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio o nei casi di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio, come indica l’articolo 337-bis del codice civile, non si può non sottolineare come nella pratica in uso nei tribunali civili - che si occupano di tutelare i minori coinvolti nelle controversie appena descritte - la “determinazione” del pieno esercizio della responsabilità genitoriale, laddove venga messa in discussione dalla richiesta di uno dei due genitori, sia una attività giurisdizionale a formazione composta.

La specificità dell’analisi dell’esser uno dei due genitori “di danno al figlio” richiede competenze che non sono quelle “naturali” del giudice del processo civile. In questi casi, il magistrato dopo aver emesso i provvedimenti più urgenti, tesi a regolare, nel primo tempo, la definizione del rapporto di coppia con la conseguente determinazione della “assegnazione della casa di abitazione” in favore del genitore provvisoriamente collocatario e con la determinazione, eventuale, degli assegni necessari per il sostentamento dei figli minori, in uno con la previsione delle modalità di frequenza dei figli con l’altro – alla luce del paradigma legale dell’affido condiviso - provvederà alla nomina di un proprio ausiliare (Ctu) al quale affidare, quale esperto nelle dinamiche psicologico relazionali, il compito di verificare, appunto, l’esistenza in capo ad uno dei due genitori, dell’esistenza di una “criticità” al pieno esercizio della responsabilità genitoriale; criticità che per essere rilevante ai fini dell’affidamento deve essere tale da potersi considerare come di danno alla serena crescita del figlio comune; così grave, dunque, da poter applicare a quella realtà separativa, l’affidamento esclusivo ad un solo genitore, in luogo dell’affidamento legale che è, e resta, quello condiviso. Non può, infatti, sottacersi come l’aiuto che proviene al giudice dall’opera del consulente di area psicologica - e che si sostanzierà nella relazione tecnica di ufficio sull’analisi delle competenze genitoriali – è, e resta, un mero “contributo” alla decisione.

La tutela degli interessi del minore è, infatti, senza possibilità di delega alcuna, un’attività specificamente attribuita alla giurisdizione e quindi alla responsabilità del giudice, posto il fatto che è lo stesso codice civile a riconoscere al figlio dei diritti incomprimibili, l’applicazione dei quali, come diritti inalienabili, non può essere delegata ad alcuno.

Questo è il quadro interpretativo che ha fissato la giurisprudenza superando alcune deleghe eccessive all’opera dei consulenti di ufficio di area psicologica, tipiche dei primi anni di applicazione delle norme in tema di affido condiviso e responsabilità genitoriale.

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