Famiglia

L'assegno decorre dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio

Ma si riconosce al giudice, la facoltà di retrodatare l'assegno al momento della domanda

di Valeria Cianciolo

La I sezione civile della Cassazione con la sentenza 3852/2021 torna sulla funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa dell'assegno divorzile e precisa i termini di decorrenza dello stesso. Nel caso in esame, la Corte d'appello aveva disposto la riduzione dell'assegno divorzile a favore della moglie e a carico dell'ex marito, ritenendo che valutate comparativamente le risorse economiche degli ex coniugi, la rideterminazione dello stesso fosse adeguata in considerazione della potenzialità lavorativa della donna con esperienza nel settore commerciale avendo collaborato, successivamente alla separazione, nell'attività commerciale del fratello.

La tesi della ricorrente
La ricorrente afferma che la corte territoriale non aveva esplicitato in modo logico e congruo il suo percorso motivazionale violando in tal modo palesemente i criteri applicativi indicati dall'articolo 5 della legge 1 dicembre 1970 n. 898: il marito era un notaio ed un professore universitario. Inoltre, non solo non era stata provata la sua attività di collaborazione nell'attività commerciale del fratello né la sua convivenza con un nuovo compagno, ma si era data per supposta la sua possibilità lavorativa senza averla dimostrata.

La posizione della Cassazione
Le motivazioni addotte dalla ricorrente vengono ritenute fondate dagli Ermellini che richiamando la nota sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione dell'11 luglio 2018 n. 18287, dà atto di come la corte d'appello non abbia dato conto dei parametri indicati dall'articolo 5 della Legge divorzio, non considerando il nesso causale tra la sproporzione reddituale e l'apporto effettivo dato dalla moglie alla conduzione del menage familiare, alla costituzione del patrimonio comune e alla formazione di quello personale dell'altro coniuge.
In quell'importante arresto giurisprudenziale del 2018 si è posto in luce che l'assegno divorzile ha una funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa. In particolare, si è statuito che "all'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate".

La decorrenza dell'assegno divorzile
Se il "cuore" della decisione in rassegna può essere individuato nella parte in cui la Suprema Corte esamina la fattispecie concreta alla luce dei parametri attributivi e determinativi dell'assegno di divorzio indicati dalle Sezioni Unite 11 luglio 2018, n. 18287, vi è da considerare un altro aspetto concernente la decorrenza dell'assegno divorzile, oggetto di uno dei motivi del ricorso: la ricorrente sostiene, infatti, che la corte territoriale abbia statuito erroneamente la decorrenza dello stesso dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, nulla disponendo per il tempo intercorrente ed attuale.
Sul punto merita fare breve riflessione.
Prima della riforma del 1987, in assenza di una previsione normativa espressa circa la decorrenza dell'assegno divorzile, era opinione unanimemente condivisa tanto da dottrina quanto da giurisprudenza che questo producesse i suoi effetti dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento del matrimonio civile; infatti, la cessazione stessa del vincolo matrimoniale era considerato presupposto imprescindibile per l'esistenza di siffatto assegno. (Casella, Il problema della decorrenza dell'assegno di divorzio alla luce della riforma del 1987, in Nuova giur. civ. comm., 1996, I, 68 ss.).
L'applicazione di regola, accolta da dottrina e giurisprudenza, non ha trovato alcun ostacolo fino all'introduzione, con la riforma del 1987, dell'art. 4, comma 10, l. div. per cui il tribunale, quando già abbia pronunciato il divorzio con sentenza non definitiva, nel disporre in sede di decisione definitiva della causa l'obbligo di somministrazione dell'assegno, può stabilire che tale obbligo "produca effetti fin dal momento della domanda."
Fatta questa precisazione, con riferimento all'assegno di mantenimento, è opportuno ricordare la diversità per finalità e presupposti tra quello previsto in sede di separazione e quello riconosciuto in sede di divorzio (Cass. civ., Sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1779; Cass. civ., Sez., I, 3 settembre 2004, n. 17830).
Il giudizio di divorzio e quello di modifica delle condizioni della separazione personale sono del tutto autonomi, sia per la diversa struttura, finalità e natura dell'assegno di divorzio rispetto a quello di separazione, sia perchè per effetto della pronuncia di divorzio quella di separazione perde efficacia. Nè la pronuncia di scioglimento del matrimonio, operando "ex nunc" dal momento del passaggio in giudicato, comporta cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale (e di modifica delle condizioni della separazione), iniziato anteriormente. Si evidenzia in particolare che l'assegno di divorzio ha data dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, salva la possibilità della retrodatazione al momento della proposizione della domanda e salva la concessione di un assegno provvisorio da parte del presidente in sede di provvedimenti urgenti di cui all'art. 4, 8 co., legge sul divorzio. A tale proposito, nel caso di inizio del giudizio di divorzio durante la pendenza di quello di modifica, la Cassazione afferma che «il giudice del divorzio potrà eventualmente provvedere in materia di assegno dal passaggio in giudicato della pronuncia di divorzio ovvero dalla data della domanda di divorzio, ma non per il periodo precedente a tale domanda» (Cass. civ., Sez., I, 3 settembre 2004, n. 17830).
Come più volte affermato dalla Cassazione anche con la sentenza in esame, l'assegno di divorzio, trovando la propria fonte nel nuovo status delle parti, rispetto al quale la pronuncia del giudice ha efficacia costitutiva, decorre dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale, salvo il temperamento introdotto dall'articolo 4, comma 10, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, così come sostituito dall'articolo 8 della legge 6 marzo 1987 n. 74, che ha conferito al giudice il potere di disporre, in relazione alle circostanze del caso concreto, ed anche in assenza di specifica richiesta, la decorrenza dello stesso assegno dalla data della domanda di divorzio.
In ultimo, due cose sono da aggiungere, non irrilevanti per gli operatori.
Innanzitutto, si riconosce al giudice, la facoltà di retrodatare l'assegno al momento della domanda, ma tale discrezionalità non è così ampia da consentirgli di fissare l'insorgenza del diritto alla corresponsione dell'assegno, a partire da un momento intermedio tra la domanda ed il passaggio in giudicato della sentenza.
Infine, la legge riconosce una certa la discrezionalità al giudice, attribuendogli la facoltà di retrodatare solo alla domanda. Il punto è che la norma non offre dei criteri concreti, capaci di orientare ed eventualmente, sindacare l'esercizio dell'ampio potere discrezionale concesso al giudice.

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