Famiglia

L'indipendenza economica del figlio non può considerarsi raggiunta se il lavoro svolto ha caratteristiche di non stabilità

I genitori, sebbene separati o divorziati, hanno ancora l'obbligo di intervenire per tutelare e garantire il diritto del figlio al mantenimento di un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia, in virtù delle loro specifiche condizioni.

di Antonella Dario


È dovuto il mantenimento al figlio maggiorenne assunto con contratto di lavoro a tempo determinato: è questo, in sistensi, il principio affermato dalla Cassazione, con la recente ordinanza 14 settembre 2020, n. 19077.

Il caso
Un padre ha agito in giudizio per ottenere la revoca del contributo di mantenimento in favore della figlia maggiorenne sull'assunto, in seguito dimostratosi errato, che la stessa avesse raggiunto l'autosufficienza economica, in quanto da tempo avviata al lavoro, sebbene con contratti a termine e a tempo parziale.

Il Tribunale di Cassino, con sentenza poi appellata dal padre, ha mantenuto l'obbligo al contributo al mantenimento, limitandosi a ridurlo nel quantum.

La Corte d'Appello di Roma, con sentenza n. 5095/2019 del 15 luglio 2020, depositata il 20 luglio 2018, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado rideterminando – aumentandolo – il contributo in favore della figlia.

Il padre ha, dunque, proposto ricorso per Cassazione su tre ordini di motivazioni, il primo che sarà poi ritenuto infondato e, gli altri due, che verranno dichiarati inammissibili.

Le valutazioni della Corte
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in commento, finisce con il rigettare il ricorso e, nel disaminare i motivi proposti, rinsalda i seguenti principi generali e consolidati.

In primo luogo, viene confermato l'orientamento costante (Cass. n. 25055/2017 e 5883/2018), secondo il quale, nei procedimenti di separazione personale e di divorzio, il preminente criterio ispiratore per la definizione dei procedimenti in favore dei figli è, appunto, quello dell'esclusivo interesse morale e materiale degli stessi.

Tale principio è valido per i figli minori di età e, parimenti, per i figli che, sebbene maggiorenni, non siano pienamente autosufficienti dal punto di vista economico: in entrambi i casi, ricorre la stessa esigenza di tutela. Il discrimine, tuttavia, è che per i figli minori la mancanza di autosufficienza economica è intrinseca, mentre, per i maggiori di età, necessita un accertamento specifico in relazione del caso concreto, soggetto a valutazioni discrezionali e insindacabili dei giudicanti.

Inoltre, nella specifica materia del mantenimento in favore dei figli, non si riscontrano casi di ultra-petizione, in quanto il giudice, oltre a non essere vincolato alle richieste avanzate in giudizio, non lo è nemmeno in relazione agli eventuali accordi intercorsi tra le parti. In particolare, laddove eventuali richieste o accordi non fossero ritenuti tutelanti degli interessi dei figli, l'assegno può essere rideterminato discrezionalmente.

Nel caso esaminato, dall'esito delle risultanze processuali, è risultata integrata l'assenza di indipendenza economica della figlia.

La Corte d'Appello, sostiene la Corte di Cassazione, a seguito di accertamento di fatto insindacabile in sede id legittimità - all'infuori dei casi previsti dall'art. 360 c.p.c., comma 1 e 5, non denunciati nel caso specifico - ha adeguatamente motivato la propria decisione ed è correttamente giunta a confermare il diritto della figlia a mantenere inalterato il proprio tenore di vita, in relazione alle condizioni economiche familiari e al confronto delle specifiche situazioni di ciascun genitore.

La Cassazione, dunque, ha richiamato l'orientamento costante della giurisprudenza e, pertanto, ha confermato che l'assegno di mantenimento al figlio non può essere revocato, se non risulta accertato, nel corso di una compiuta analisi istruttoria, il raggiungimento di una piena autonomia del figlio.

La pronuncia in esame, in definitiva, interviene in una materia, che è attualmente oggetto di un vivace dibattito, anche in conseguenza della casistica molto variegata. In una panoramica del mondo del lavoro, dove la stabilità a lungo termine è sempre più difficile da raggiungere, soprattutto per i giovani, e dove il precariato rende più arduo il raggiungimento della piena autonomia economica, è conseguenziale che anche la giurisprudenza venga chiamata a decidere casi concreti, in relazione ai quali è necessario determinare il mantenimento dei figli che, sebbene maggiorenni, non abbiano sviluppato appieno la propria autonomia e indipendenza economica.

I genitori, sebbene separati o divorziati, hanno ancora, dunque, l'obbligo di intervenire per tutelare e garantire il diritto del figlio al mantenimento di un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia, in virtù delle loro specifiche condizioni.

Tale principio, comunque, non può andare in conflitto con quello, altrettanto degno di nota, recentemente confermato dalla medesima Cassazione con ordinanza n. 1186/2020, laddove la Corte, richiamando la storica sentenza n. 18076/20144, ha enunciato che l'obbligo al mantenimento "non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura" e che, dunque, vada revocato se, dall'esame dello specifico caso concreto "e con criteri di rigore proporzionalmente crescente in rapporto all'età dei beneficiari", si ritiene non sussistano i requisiti per il permanere del diritto del figlio – che nello specifico caso studiava all'università e aveva un contratto di lavoro part-time, ma a tempo indeterminato, con le Poste – al mantenimento. Laddove sia dimostrata, con onere della prova a carico del genitore obbligato, l'inerzia del figlio, ovvero, che egli rifiuti opportunità di lavoro in maniera immotivata, o non si attivi nella ricerca di un impiego, l'obbligo al mantenimento viene meno.

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