Penale

L’ingiunzione a demolire dopo 25 anni non viola il principio di proporzionalità

L’ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna non è sanzione penale soggetta a prescrizione e il lasso di tempo rispetto alla fase esecutiva è dovuto all’inerzia del responsabile

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di Paola Rossi

Un’ingiunzione a demolire emessa a distanza di più di 20 anni dalla defintività della sentenza che ha condannato l’abuso edilizio, con ordine di demolirlo, non viola in sé il principio di proporzionalità. In quanto l’irragionevole durata del processo non è ciò che emerge quando la fase esecutiva innescata dall’ingiunzione del pubblico ministero giunge a distanza di decenni. Infatti, tale lasso di tempo può essere considerato solo un fatto a favore del condannato che teoricamente ne avrebbe potuto usufruire per tentare di legalizzare l’abuso, se possibile, o per cercare soluzioni abitative alternative a esso. Inoltre, l’ordine di demolizione - va ribadito - non è sanzione penale solo perché comminata dal giudice penale, ma ha prettamente natura amministrativa modificabile solo in base a determinazioni degli enti amministrativi competenti.

La Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 28454/2024 - ha escluso:
- la violazione del diritto a una ragionevole durata del processo,
- l’invocata prescrittibilità dell’ordine di demolizione,
- la violazione del diritto ad abitare come garantito anche dalla Dichiarazione Onu e dalla Cedu.

Nel caso concreto sono state respinte, in sede di esecuzione - fase processuale innescata dall’ingiunzione del Pm a fronte del mancato adempimento dell’ordine di demolizione - tanto la domanda di sospensione o revoca dell’ingiunzione quanto la richiesta di declaratoria di prescrizione dell’ordine impartito con la sentenza di condanna. La decisione negativa del giudice dell’esecuzione veniva poi impugnata per cassazione affermando la violazione del principio di proporzionalità a causa del tempo intercorso tra la definitività della sentenza e l’ingiunzione (circa 20 anni) e la notifica della stessa a distanza di altri 5 anni. Inoltre, non sarebbe stato - sempre secondo il ricorso rigettato - tenuto in debito conto il diritto al mantenimento dell’abuso in quanto abitato dal suo autore (in asserite condizioni economiche precarie) sin dal lontano 1997. Il ricorrente aveva tra l’altro più volte violato i sigillli dopo la condanna per procedere a ulteriorii ampliamenti del manufatto illegale.

In primis, la Cassazione nega che per giurisprudenza costante l’ordine di demolizione sia da considerarsi sanzione penale e quindi soggetta a estinzione per il decorso della prescrizione ex articolo 173 del Codice penale.

Invece, sul punto del diritto a una ragionevole durata del processo la Cassazione chiarisce che la “durata” cui dare rilevanza non è quella tra l’accertamento giudiziale e l’esecuzione della pena, ma quello intercorso tra la scoperta a opera della polizia dell’illecito e la contestazione dello stesso in giudizio, oltre ovviamente alla durata in sé di quest’ultimo.

Infine, la Cassazione conclude con l’argomento più dirimente contro le lamentele del ricorrente, quello della lentezza della fase esecutiva che non può però essere volta a favorire chi è stato colpito dall’ordine di demolire. Infatti, tale fase scatta solo a seguito dell’inerzia del condannato, che non esegue l’ordine originariamente impartito dal giudice della cognizione: il mancato adempimento non ha ragione di rafforzare il diritto ad abitare l’abuso destinato a casa familiare, semmai al contrario va affermato che il lungo tempo trascorso tra condanna e ingiunzione ad adempiere sia già di per sé una circostanza favorevole al reperimento di altra soluzione abitativa. Per di più tale raffronto tra l’interesse amministrativo alla cura del territorio e l’esigenza abitativa del singolo va operato con specifica attenzione solo quando vi è stato un abuso di necessità. Ciò che non può affermarsi sussistente se, come nel caso concreto, questo si sviluppi su più piani e con un’estensione non contenuta.

Conclude la Cassazione sul rilievo che correttamente va dato alla consapevolezza o meno dell’autore dell’abuso di star commettendo un illecito e che se questo si svolge in area vincolata ciò assume specifico peso al fine di escludere rilevanza al bisogno abitativo del responsabile, Diversamente ciò equivarrebbe a incentivare la realizzazione di abusi edilizi a danno del territorio protetto da vincolo paesaggistico e/o ambientale.

 

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