L'Inps è l'unico soggetto legittimato al recupero dell'indennità di malattia non dovuta
Lavoro - Lavoro subordinato - Indennità di malattia - Recupero di somme indebitamente corrisposte - Legittimazione esclusiva dell'ente previdenziale - Sussiste.
L’indennità di malattia è dovuta dall’Inps e viene corrisposta all’avente diritto a cura del datore di lavoro in funzione di adiectus solutionis causa, tanto che, qualora l’indennità di malattia, anticipata dal datore di lavoro, risulti non dovuta, l’unico soggetto legittimato al recupero della prestazione indebitamente erogata è l’Inps, e non il datore di lavoro a cui non spetta alcuna valutazione in ordine ai presupposti condizionanti le spettanze dell’indennità; solo nel caso di domanda di restituzione del trattamento economico spettante al dipendente per la quota eccedente la corrispondente indennità di malattia, non viene in rilievo il rapporto previdenziale, per cui sussiste la legittimazione del datore di lavoro in quanto solvens e non adiectus solutionis causa.
• Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 1 febbraio 2022, n. 3076
Lavoro - Lavoro subordinato - Indennità - Di malattia - Recupero di somme indebitamente corrisposte - Legittimazione esclusiva dell'ente previdenziale - Mancato invio della certificazione di malattia all' Inps da parte del lavoratore - Rifiuto del datore di lavoro di erogare l'indennità di malattia - Illegittimità.
Qualora l'indennità di malattia, anticipata dal datore di lavoro, risulti non dovuta, l'unico soggetto legittimato al recupero della prestazione indebitamente erogata è l'INPS, e non il datore di lavoro a cui non spetta alcuna valutazione in ordine ai presupposti condizionanti le spettanze dell'indennità, quali la sussistenza della malattia o l'osservanza dell'obbligo di reperimento nelle cosiddette fasce orarie. Ne consegue che l'eventuale mancato invio da parte del lavoratore (o la mancata prova dell'invio) all'INPS della certificazione, attestante la malattia, nel termine prescritto non può essere eccepita dal datore di lavoro, per giustificare il rifiuto di erogare l'indennità.
• Corte di Cassazione, sezione 6 civile, ordinanza 7 novembre 2014, n. 23765
Previdenza (assicurazioni sociali) - Assicurazione contro le malattie - Prestazioni - Assistenza economica -Indennità.
La norma di cui all' art. 5, comma quattordicesimo, del D.L. 12 settembre 1983 n. 463, convertito in legge 11 novembre 1983 n. 638 che prevede la decadenza del lavoratore dal diritto all'indennità di malattia qualora risulti ingiustificatamente assente alla visita di controllo riguarda il rapporto previdenziale intercorrente tra il prestatore di lavoro e l'Inps, che va tenuto distinto dal rapporto di lavoro, ancorché l'indennità debba essere di regola anticipata dal datore di lavoro, salvo il conguaglio con i contributi previdenziali. Pertanto legittimato all'azione di restituzione è L'Inps, titolare del rapporto obbligatorio e non il datore, il quale lavoratore va considerato non come "solvens", ma come "adiectus solutionis" causa.
• Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 15 novembre 2002, n. 16140
Lavoro subordinato - Indennità di malattia - Recupero di somme indebitamente corrisposte . Ai sensi dell' art. 1 del D.L. 30 dicembre 1979 n. 663, convertito in legge 29 febbraio 1980 n. 33, il datore di lavoro è tenuto ad anticipare al lavoratore l'indennità di malattia come "adiectus solutionis causa", atteso che la titolarità della relativa obbligazione, di natura previdenziale, fa capo esclusivamente all'I.N.P.S. che è l'unico soggetto obbligato ad erogarla; ne consegue che, qualora tale indennità, anticipata dal datore di lavoro, risulti non dovuta, l'unico soggetto legittimato al recupero della prestazione indebita è l'Istituto previdenziale non potendo essere rimessa al datore di lavoro alcuna valutazione sulla sussistenza dei presupposti condizionanti la spettanza dell'indennità in questione, quali le questioni attinenti alla sussistenza della malattia o all'osservanza dell'obbligo di reperimento nelle c. d. fasce orarie.
•Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 4 giugno 1996, n. 5185