Amministrativo

L'obbligo di incasso diretto sui conti correnti degli enti, come tutte le regole che si rispettino, inizia a conoscere delle eccezioni

Se il funzionario responsabile della riscossione agisce con la veste dell'ufficiale giudiziario, si recide (temporaneamente e fittiziamente) il rapporto che lo legava al soggetto affidatario, e questa scissione comporta che non possa più operare una norma – quella che vieta l'incasso diretto – pensata invece per i soggetti affidatari

di Tommaso Ventre* e Pierluigi Antonini**


Se il funzionario responsabile della riscossione agisce con la veste dell'ufficiale giudiziario, si recide (temporaneamente e fittiziamente) il rapporto che lo legava al soggetto affidatario, e questa scissione comporta che non possa più operare una norma – quella che vieta l'incasso diretto – pensata invece per i soggetti affidatari.

Negli ultimi anni, il sistema della riscossione locale ha dapprima fortemente limitato, e poi eliminato, la possibilità per i soggetti affidatari del servizio di riscossione di incassare le entrate locali, per conto dell'ente, ma direttamente sui propri conti correnti. Scelta normativa giunta a prevenire potenziali appropriazioni indebite di tali somme.

Con la legge 160/2019 il legislatore, all'articolo 1, comma 786, andando a modificare l'articolo 2-bis del Dl 193/2016, ha definitivamente stabilito che le somme di pertinenza degli enti, a qualunque titolo dovute (vale a dir di pagamento spontaneo, acquiescenza all'accertamento o in conseguenza della riscossione coattiva) debbano essere necessariamente versate sui conti correnti (di tesoreria o postali) di pertinenza dell'ente.

L'intervento non è casuale ed anzi, al fine di rafforzare e coordinare la previsione della esclusività di incasso diretto delle somme, il successivo comma 788 ha modificato l'articolo 53, comma 1, D.Lgs. n. 446/1997 (che istituisce l'albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni) aggiungendo un ulteriore periodo al primo comma che, nonostante l'infelice formulazione normativa, ha il fine di chiarire che il versamento delle entrate degli enti locali non può mai essere effettuato a favore degli affidatari del servizio di riscossione delle entrate locali di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b), numeri 1), 2) e 4).

Da tale preclusione – che opera dal 1° gennaio 2020 – sono quindi escluse le società a capitale interamente pubblico affidatarie di tali servizi (previste invece dal numero 3 del richiamato articolo 52,comma 5), affinché possano continuare a incassare direttamente le entrate di loro competenza.

Nell'intento di supplire alla endemica carenza di ufficiali della riscossione, il comma 793, ha disposto che l'ente locale o il soggetto affidatario possano nominare, con proprio provvedimento, uno o più funzionari responsabili della riscossione, i quali esercitano le funzioni demandate agli ufficiali della riscossione.

Fin qui, quindi, abbiamo assistito ad un primo sdoppiamento – per mitosi – della figura del funzionario responsabile della riscossione che diventa anche ufficiale della riscossione. Ma l'ubiquità non finisce qui e, da due, i ruoli diventano tre.

Infatti, l'art. 49, comma 3, D.P.R. n. 602/1973, stabilisce che le funzioni demandate agli ufficiali giudiziari sono esercitate dagli ufficiali della riscossione, con la conseguenza che questi ultimi – sia che operino per conto dell'agente della riscossione, sia che siano stati nominati dall'ente locale o dal suo soggetto affidatario – nel momento in cui agiscono in sede di esecuzione forzata sono titolari di funzioni proprie dell'ufficiale giudiziario e pongono in essere attività non riconducibili ai soggetti che li hanno nominati.

Detto in altri termini, il funzionario responsabile della riscossione ha, come si dice, "due cappelli": il primo, più classico, dell'ufficiale della riscossione; il secondo, che indossa soltanto nella fase di esecuzione forzata, di ufficiale giudiziario. In quest'ultima veste, ben può accadere che riceva del denaro nelle proprie mani: l'art. 494 c.p.c., infatti, consente all'ufficiale giudiziario (e quindi anche all'ufficiale responsabile della riscossione) di ricevere nelle proprie mani, con l'incarico di consegnare quanto ricevuto al creditore, le somme per cui si procede e le spese da parte del debitore che voglia evitare il pignoramento.

Con la recente Risoluzione n. 2/DF del 22 marzo 2021 la direzione legislativa e tributaria e federalismo fiscale del Ministero dell'Economia e delle Finanze ha fornito chiarimenti in ordine ai poteri del funzionario della riscossione in sede di esecuzione forzata alla luce del divieto di incasso diretto disciplinato dall'art. 1, comma 788 della legge 27 dicembre 2019, n. 160 , chiarendo che "ove l'ufficiale della riscossione sia un dipendente del soggetto affidatario, non può ritenersi violata la norma che vieta l'incasso diretto da parte del soggetto affidatario della riscossione proprio in virtù del fatto che, come già anticipato, il funzionario in questione, nel quadro della particolare funzione che si trova a svolgere, realizza un'attività che non può essere riferita al soggetto affidatario".

Discorso analogo, secondo il Ministero, dovrebbe valere nell'ipotesi di esecuzione forzata prevista dall'art. 72-bis del D.P.R. n. 602 del 1973, che regola il pignoramento dei crediti del debitore presso terzi, sulla base della considerazione che, non solo, tale disposizione è contenuta nel sopra citato titolo II del D.P.R. n. 602 del 1973, ma soprattutto, per il fatto che l'affidatario assume il ruolo di ufficiale della riscossione anche nell'ambito di tale procedura speciale. Anche in questo caso, quindi, le somme pagate nelle mani dell'ufficiale giudiziario/ufficiale della riscossione/funzionario della riscossione non viola il divieto di incasso diretto.

Quindi nella risoluzione è scritto a chiare lettere che il funzionario può incassare direttamente, nelle proprie "mani", le somme allo stesso offerte in sede di esecuzione forzata non contravvenendo all'obbligo legislativo disposto dal comma 788.

Quello che non chiarisce la risoluzione è se "le mani" dell'ufficiale, in questo modus operandi – del tutto fisiologico e necessitato – possano essere rappresentate dal conto corrente del suo datore di lavoro.

La risposta a tale interrogativo non sembra che potere essere negativa proprio sulla base della considerazione fatta dalla stessa Risoluzione ovvero che per la particolare funzione che il funzionario si trova a svolgere, lo stesso realizza un'attività che non può essere riferita al soggetto affidatario.

In altre parole, dice il MEF, se il funzionario responsabile della riscossione agisce con il "cappello" dell'ufficiale giudiziario, si recide (temporaneamente e fittiziamente) il rapporto che lo legava al soggetto affidatario, e questa scissione comporta che non possa più operare una norma – quella che vieta l'incasso diretto – pensata invece per i soggetti affidatari. Al momento dell'incasso l'ufficiale non stava agendo quale emanazione dell'affidatario (e cioè come funzionario o ufficiale della riscossione), bensì era da questi completamente scisso per esercitare, invece, il ruolo di ufficiale giudiziario.

Alla base della questione vi è infatti la separazione funzionale e ontologica dell'Ufficiale dal proprio datore di lavoro.

Separazione che avviene sia per l'espressa previsione normativa che prevede la nomina di un soggetto dotato di peculiari caratteristiche, e che sia all'uopo formato e deve essere abilitato a svolgere la propria funzione sia per il regime delle responsabilità in relazione alle azioni compiute che rimane strettamente personale.

Ne discende che le somme di cui si discute possano essere incassate esclusivamente dal soggetto a ciò deputato e non quindi dal suo datore di lavoro.

*Tommaso Ventre, Avvocato, Professore aggregato di Governance dei tributi locali presso l'Università della Campania Luigi Vanvitelli e **Pierluigi Antonini, Avvocato, Dottore di ricerca in diritto tributario

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