Amministrativo

L'obbligo di restituire le somme ricevute dal consigliere regionale per la gestione del gruppo rientra nelle norme di contabilità pubblica

Lo ha precisato la Corte dei Conti per la Liguria con la sentenza 2/2021

di Pietro Alessio Palumbo

Nel rispetto del principio di separazione fra i poteri dello Stato ed in funzione della tutela dell'erario oltre che del buon andamento della Pubblica Amministrazione, il sindacato giurisdizionale va esercitato ancorandolo ai parametri legislativi della legalità, della veridicità e dell'inerenza della spesa rispetto ai fini istituzionali. Ciò secondo canoni di competenza, ragionevolezza e proporzionalità, valorizzando i principi di auto-responsabilità ed auto-determinazione nell'effettuazione delle "giuste" spese per il funzionamento della rappresentanza democratica; senza alcuna ingerenza nelle valutazioni di merito riservate all'Organo "politico" nell'ambito dell'inviolabile mandato ricevuto dai cittadini elettori. Orbene, sulla base di queste argomentazioni – e richiamando principi romanistici assimilati ed elaborati dal nostro Ordinamento giuridico e presenti anche nei sistemi giuridici di Common law - con la recente sentenza n.2/2021 la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Liguria ha chiarito che l'obbligo di restituzione delle somme ricevute dal consigliere regionale per la gestione del gruppo di riferimento deve ritenersi principio generale delle norme di contabilità pubblica. Obbligo strettamente correlato al dovere, imprescindibile a tutti i pubblici uffici, di "dar conto" delle modalità di impiego del denaro della collettività.

Il giudizio documentale sullo sviamento delle spese dal "binario pubblicistico"
Chiunque gestisca fondi pubblici deve fornire la prova che i fondi stessi siano stati utilizzati per il raggiungimento dei fini istituzionali per i quali sono stati erogati. A tale onere corrisponde un equivalente potere di verifica che si pone quale garanzia del principio costituzionale della responsabilità per comportamenti che informa tutta l'attività amministrativa ai sensi degli articoli 28 e 103 della Costituzione Repubblicana. E ciò - si badi - anche in assenza di disposizioni specifiche o di specie. I gruppi consiliari operano nell'ambito dell'assemblea regionale quali "proiezioni" delle formazioni politiche, svolgendo funzioni pubblicistiche nella definizione legale degli scopi perseguiti e percependo a tal fine risorse della collettività. Ebbene l'accertamento rimesso in questo ambito alla Corte dei Conti non può investire l'attività "politica" del gruppo consiliare o le scelte "di merito" effettuate nell'esercizio del mandato, in termini di opportunità, utilità ed economicità della singola spesa, bensì deve mantenersi nell'ambito di un "giudizio documentale" di conformità alla legge dell'azione amministrativa.

Il "tono istituzionale" delle spese
In tal senso deve dunque intendersi il principio secondo cui non è ravvisabile un profilo di ipotizzabile "immunità costituzionalmente" garantita in capo agli Organi regionali, avendo anch'essi l'obbligo di rispettare il vincolo di destinazione dei contributi erogati, la cui violazione può essere accertata in sede giurisdizionale nei confronti dei responsabili dello "sviamento" dalle legittime funzioni. Dal che può affermarsi che (solo) entro tali limiti, il gruppo beneficiario, operando nell'ambito del "mandato ricevuto dagli elettori" è libero nelle modalità attraverso cui perseguire i propri fini istituzionali. Su questo sfondo, solo in questa "luce tonale" così definita, va delineato il ritratto del giudizio di non inerenza delle attività di gestione del contributo erogato ai gruppi consiliari rispetto alle finalità di interesse pubblico. In altri termini è in questo alveo che può, anzi deve, muoversi il prudente giudizio di: riconducibilità delle spese alle funzioni "politiche" dei consigli regionali; verifica di "congruità e pertinenza" delle voci di spesa; "ragionevolezza e proporzionalità" nonché di "veridicità" della documentazione rendicontata; "collegamento per fine e scopo" tra quanto ammesso a rimborso e gli obiettivi pubblicistici sottesi.

Il nesso teleologico (preciso) col mandato rappresentativo: No a "dilatazioni semantiche"
A ben vedere la spesa astrattamente attribuibile al gruppo consiliare non consente di qualificare come plausibile e funzionale ai fini istituzionali, in maniera indifferenziata, tutta l'attività riconducibile all'Organo stesso. La generica riferibilità delle spese oggetto della richiesta di rimborso al gruppo di appartenenza, non giustifica né legittima la riconducibilità delle somme di denaro impiegate, laddove il nesso funzionale con l'Organo consiliare, appaia vago o non sufficientemente circostanziato. Difformemente da questo paradigma, la nozione stessa di "attività politica" del gruppo acquisirebbe una espansione di significato, valori e funzioni, irragionevole: tale da includere nella nozione di "atto politico" suscettibile di rimborso, qualsivoglia iniziativa, la quale presenti anche solo il più "tenue" nesso di collegamento con l'azione pubblica.

Le spese di promozione della "immagine di partito"
Neppure può essere consentita la sovrapposizione concettuale tra le categorie di spese, "politiche del partito" e per le iniziative "politiche del gruppo". A prescindere dalla dibattuta natura giuridica dei gruppi in argomento - privata, pubblica o mista - è in ogni caso pacifico che i partiti politici, di cui i gruppi consiliari costituiscono la corrispondenza all'interno dell'Assemblea regionale, siano delle libere e stabili associazioni di cittadini, con comunanza di ideologie e di interessi, che decidono di organizzarsi per concorrere con metodo democratico a determinare la politica pubblica. Invero le funzioni istituzionali dei gruppi consiliari non possono identificarsi con le attività dei partiti e dei movimenti politici, di cui costituiscono derivazione in seno al consiglio regionale, ma dai quali restano distinti sul piano sia organizzativo che funzionale. Scaturisce che le spese (asseritamente) riferibili ad attività politica, ove esclusivamente finalizzate alla promozione dell'immagine del partito e dei suoi esponenti, ossia all'accrescimento della loro visibilità in seno alla collettività, non possono gravare sul contributo pubblico erogato al gruppo consiliare per le proprie esigenze organizzative e per l'espletamento delle proprie funzioni istituzionali: tali spese vanno finanziate con fondi propri del partito o del movimento o del singolo esponente.

...e se è "la prassi" ?
Va infine osservato che nessuna "prassi", per quanto radicata nel tempo, può giustificare la violazione degli obblighi inerenti ad una rendicontazione trasparente dell'impiego di denaro pubblico. Al contrario. Il mantenimento di una "usanza" illegittima e l'eventuale tolleranza di taluni comportamenti "abusivi" possono costituire elemento di aggravio della responsabilità nei casi in cui la posizione dell'agente avrebbe potuto consentire di porre rimedio o modificare una situazione foriera di grave pregiudizio per le finanze della collettività.

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