Comunitario e Internazionale

L'operatore di Tlc è tenuto a consentire le intercettazioni legali e non ha diritto al rimborso integrale dei costi

L'autorizzazione generale alla fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica può essere condizionata dall'obbligo

di Paola Rossi

La Cgue avalla la scelta del Legislatore italiano di aver fissato un rimborso forfettario per le società di telecomunicazioni quando le autorità giudiziarie richiedono dati utili alle indagini.

Con la sentenza sulla causa C-339/21 la Cgue ha affermato che gli operatori di telecomunicazioni possono essere obbligati a fornire, su richiesta di un'autorità giudiziaria, operazioni d'intercettazione di comunicazioni dietro pagamento di tariffe forfettarie.

Infatti, spiega la Corte Ue, il codice europeo delle telecomunicazioni non impone il rimborso integrale dei costi effettivamente sostenuti dagli operatori telefonici. E, anzi, fa rilevare che grazie all'evoluzione tecnologica tali operazioni risultano più agevoli e meno onerose per l'operatore richiesto di fornire i dati o consentire le intercettazioni.

Il regime italiano
In Italia, gli operatori di telecomunicazioni sono tenuti, in caso di richiesta proveniente dalle autorità giudiziarie, a effettuare operazioni di intercettazione di comunicazioni (vocali, informatiche, telematiche e di dati), a fronte di tariffe forfettarie. Gli importi che essi percepivano sono stati modificati da un decreto del 2017, il quale ha stabilito una riduzione almeno del 50% dei rimborsi delle spese connesse a dette operazioni di intercettazione. Gli operatori di telecomunicazioni interessati hanno chiesto ai giudici italiani l'annullamento di tale decreto, sostenendo che gli importi previsti non coprono integralmente i costi sostenuti.

Il rinvio pregiudiziale
Il Consiglio di Stato italiano, adito in appello, chiede alla Corte di giustizia se il diritto dell'Unione imponga il rimborso integrale dei costi effettivamente affrontati dagli operatori per l'esecuzione di siffatte operazioni di intercettazione. E la Corte Ue ha negato la sussistenza di tale obbligo per lo Stato membro.
Unico punto da verificare per il Consiglio di Stato giudice a quo del rinvio è che tale normativa non sia discriminatoria, ma proporzionata e trasparente.

Il diritto Ue interpretato
La Corte osserva che il codice delle comunicazioni elettroniche europeo prevede che l'autorizzazione generale per la fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica possa essere assoggettata dagli Stati membri a determinate condizioni, tra le quali figura quella di assicurare la possibilità per le autorità nazionali competenti di effettuare intercettazioni legali.
Il legislatore dell'Unione non ha imposto né escluso il rimborso, da parte degli Stati membri, dei costi sostenuti dalle imprese che assicurano la possibilità di effettuare intercettazioni legali. Gli Stati membri dispongono pertanto di un margine di discrezionalità.
La Corte ritiene che tale discrezionalità sia stata esercitata dall'Italia nel rispetto dei principi di non discriminazione, proporzionalità e trasparenza. Infatti, i rimborsi previsti sono analoghi per tutti gli operatori che offrono servizi di comunicazione elettronica in Italia, in quanto i rimborsi sono previsti sulla base di tariffe forfettarie unitarie. Tali tariffe sono calcolate tenendo conto dei progressi tecnologici del settore che hanno reso talune prestazioni meno onerose, nonché del fatto che tali prestazioni sono essenziali al perseguimento di finalità generali di primario interesse pubblico e che possono essere fornite solo dagli operatori di telecomunicazioni.
Infine, tali tariffe sono fissate tramite un atto amministrativo formale, che è pubblicato e liberamente consultabile.

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