Civile

La Cassazione frena sulle conseguenze della manipolazione del tasso di finanziamento definito sulla base Euribor

Commento all’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione, terza sezione civile, del 3 maggio 2024 n. 12007

La Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza del 3 maggio 2024, n. 12007 , ha voluto pronunciarsi sulla vicenda Euribor, dando la sensazione di voler porre un argine agli effetti che sarebbero potuti derivare dall’ordinanza n. 34889 emessa dagli Ermellini lo scorso 13 dicembre 2023.

Con tale ordinanza la Corte aveva, infatti, ribaltato quello che sembrava ormai essere l’orientamento giurisprudenziale condiviso su tutto il territorio nazionale che - per anni- aveva escluso che la mera partecipazione di più istituti di credito al panel per la determinazione del tasso Euribor implicasse la sussistenza di un’intesa vietata dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, con la conseguenza che la nullità dei contratti “a monte non poteva estendersi ai contratti stipulati “a valle ove non si fosse provato che l’istituto mutuante aveva partecipato all’accordo anticoncorrenziale.

I Giudice della Corte, con la suddetta ordinanza del 13 dicembre 2023, avevano quindi decretato la nullità del tasso applicato al contratto di leasing determinato per relationem facendo riferimento al tasso Euribor, quale quello accertato - tra il settembre 2005 e il maggio 2008 - dalla Commissione Antitrust Europea, con decisione del 4 dicembre 2013 che aveva sanzionato l’avvenuta violazione dell’art. 101 Trattato CE.

A tale decisione della Commissione Antitrust - secondo tale ordinanza - veniva addirittura riconosciuto valore di prova privilegiata dell’accordo manipolativo della concorrenza, a prescindere dal fatto che all’intesa illecita avessero o meno partecipato l’Istituto di credito finanziatore.

Anche dopo tale pronuncia, taluni Tribunali italiani (e tra essi il Tribunale di Milano e quello di Torino), discostandosi dall’interpretazione fornita dalla Corte, hanno continuato a respingere le domande di nullità delle clausole degli interessi parametrati all’Euribor nel Periodo Rilevante e il Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria del 7 marzo 2024, ha invitato ad una rimeditazione” di tale orientamento.

Con la sentenza oggi in commento, la Corte - rilevata la particolare importanza della questione e la funzione di nomofilachia svolta - ritiene opportuno interrogarsi sulla validità “… delle clausole contrattuali che, al fine di determinare il tasso di interesse, moratorio o convenzionale, relativo ad obbligazioni assunte dalle parti, facciano espresso riferimento (in tutto o in parte) al parametro costituito dall’Euribor… ” chiedendosi, in particolare, se i contratti di mutuo che utilizzano l’Euribor possano essere considerati contratti “a valle rispetto alle intese restrittive della concorrenza sanzionate dalla Commissione Europea nel 2013 e nel 2016, in analogia a quanto ritenuto dalle Sezioni Unite in relazione alla clausole contenute nei contratti di fideiussioni riportanti lo schema ABI.

I Giudici si sono, poi, domandati se - a prescindere dalla qualifica dei contratti di mutuo quali contratti a valle - possa incidere sulla validità del regolamento negoziale la circostanza che il parametro di riferimento per fissare il tasso degli interessi voluto dalle parti possa aver subito una eventuale alterazione a causa di “condotte illecite di terzi”.

Nel rispondere a tali quesiti, la Cassazione dimostra di voler seguire una direttrice diversa da quella indicata dalla medesima Corte con l’ordinanza del dicembre 2023, quasi cercando un punto di equilibrio tra i contrapposti orientamenti, premettendo che non è “…possibile condividere le premesse da cui parte la già richiamata Cass. N. 34889 del 2023 in ordine al tasso stabilito per i contratti di leasing”.

Giunge, quindi, ad escludere che i contratti nei quali vi siano clausole di parametrazione degli interessi all’Euribor siano tout court nulli, precisando che il riferimento all’Euribor può diventare illecito solo se c’è consapevolezza e intenzionalità - da parte di uno dei contraenti - di riferirsi e di utilizzare un parametro alterato da pratiche anticoncorrenziali.

Le parti, o almeno una di esse, che siano estranee ad eventuali intese illecite, devono dunque essere “… per lo meno consapevoli dell’alterazione del parametro e dei suoi effetti e intendono avvalersene nella determinazione del contenuto di tale contratto”.

L’eventuale accertamento della nullità di un contratto di mutuo stipulato da istituti bancari, a dire della Corte, “… richiederebbe, dunque, l’allegazione e la prova che la banca stipulante, al momento della conclusione del contratto, fosse o direttamente partecipe di quell’intesa o, almeno, fosse consapevole della sussistenza di una intesa tra altre banche volta ad alterare il valore dell’Euribor o di una effettiva pratica non negoziale in tal senso ed abbia inteso avvalersi dei risultati di questa”.

Viene quindi affermato il primo principio di diritto: “I contratti di mutuo contenenti clausole che, al fine di determinare la misura di un tasso d’interesse, fanno riferimento all’Euribor, stipulati da parti estranee ad eventuali intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza dirette alla manipolazione dei tassi sulla scorta dei quali viene determinato il predetto indice, non possono, in mancanza della prova della conoscenza di tali intese e/o pratiche da parte di almeno uno dei contraenti (anche a prescindere dalla consapevolezza della loro illiceità) e dell’intento di conformare oggettivamente il regolamento contrattuale al risultato delle medesime intese o pratiche, considerarsi contratti stipulati in “applicazione” delle suddette pratiche o intese; pertanto, va esclusa la sussistenza della nullità delle specifiche clausole di tali contratti contenenti il riferimento all’Euribor, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990 e/o dell’art. 101 TFUE“.

In ogni caso, precisa la Corte “… anche se le parti del singolo contratto non siano consapevoli delle intese o pratiche illecite di terzi volte ad alterare il parametro esterno costituito dall’Euribor, qualora tali intese o pratiche abbiano effettivamente raggiunto, in concreto, il risultato dell’effetto manipolativo perseguito, applicando ugualmente quel parametro, nel suo valore “falsato”, il concreto regolamento di interessi resterebbe alterato, a danno di uno dei contraenti”.

In tali situazioni, in cui il parametro di riferimento per fissare il tasso degli interessi ha subito una alterazione a causa di “ fatti illeciti posti in essere da terzi ” che, oggettivamente, hanno falsato il contenuto dell’accordo tra le parti, incidendo nella volontà negoziale degli stessi, ritiene la Corte che - per garantire adeguata tutela ai contraenti e il rispetto della libertà di concorrenza - può farsi riferimento “agli ordinari rimedi apprestati dall’ordinamento interno e, quindi, al di là della possibilità di considerare nulle le clausole contrattuali di riferimento all’Euribor ai sensi della normativa sovranazionale”.

Ad avviso della Corte, dunque, senza la necessità di scomodare la normativa Antitrust ma applicando i rimedi ordinari previsti dal Codice civile, sarà possibile accertare la nullità parziale (originaria o sopravvenuta, a seconda dei casi) per impossibilità di determinazione dell’oggetto della clausola contrattuale, per il periodo in cui è stata in concreto sussistente l’alterazione illecita.

Il parametro alterato, argomenta la sentenza, “… non corrisponde a quello che nel contratto le parti hanno inteso richiamare e non è possibile la determinazione del parametro effettivamente richiamato (cioè, quello non alterato), se la sua misura, depurata dell’illecita alterazione, non sia ricostruibile”.

La normativa interna, così come interpretata dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, prevede infatti che la convenzione relativa alla pattuizione degli interessi, espressione della libertà negoziale, è validamente pattuita quando il relativo tasso risulti determinabile, controllabile in base a criteri oggettivamente indicati, desumibile dal contratto con l’ordinaria diligenza.

Da tali considerazioni, la Corte fa discendere il secondo e terzo principio: “Le clausole dei contratti di mutuo che, al fine di determinare la misura di un tasso d’interesse, fanno riferimento all’Euribor, possono ritenersi viziate da parziale nullità (originaria o sopravvenuta), per l’impossibilità anche solo temporanea di determinazione del loro oggetto, laddove sia provato che la determinazione dell’Euribor sia stata oggetto, per un certo periodo, di intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza poste in essere da terzi e volte a manipolare detto indice; a tal fine è necessario che sia fornita la prova che quel parametro, almeno per un determinato periodo, sia stato oggettivamente, effettivamente e significativamente alterato in concreto, rispetto al meccanismo ordinario di determinazione presupposto dal contratto, in virtù delle condotte illecite dei terzi, al punto da non potere svolgere la funzione obbiettiva ad esso assegnata, nel regolamento contrattuale dei rispettivi interessi delle parti, di efficace determinazione dell’oggetto della clausola sul tasso di interesse”.

Terzo principio: “In tale ultimo caso (ferme, ricorrendone tutti i presupposti, le eventuali azioni risarcitorie nei confronti dei responsabili del danno, da parte del contraente in concreto danneggiato), le conseguenze della parziale nullità della clausola che richiama l’Euribor per impossibilità di determinazione del suo oggetto (limitatamente al periodo in cui sia accertata l’alterazione concreta di quel parametro) e, prima fra quelle, la possibilità di una sua sostituzione in via normativa, laddove non sia possibile ricostruirne il valore “genuino”, cioè depurato dell’abusiva alterazione, andranno valutate secondo i principi generali dell’ordinamento”.

La Corte cambia dunque prospettiva: la nullità della clausola Eurobor non discenderebbe automaticamente dall’applicazione di una intesa vietata in quanto restrittiva della concorrenza, ma dalla impossibilità di determinazione dell’oggetto del contratto, tutelata dalla normativa nazionale.

Da un punto di vista pratico, incombe quindi su chi eccepisce la nullità del contratto fornire la prova non solo dell’esistenza di una intesa illecita volta ad alterare il parametro euribor, ma anche della circostanza che tale intesa abbia raggiunto il suo obiettivo e, quindi, quel parametro sia stato effettivamente “alterato nella fattispecie concreta.

Occorre poi valutare nella fattispecie concreta:

a) se le pratiche manipolative non siano rimaste a livello di mero tentativo ma abbiano concretamente alterato il valore dell’Euribor;

b) se e per quale tempo e in quale misura tale alterazione abbia inciso nel contratto stipulato;

c) quali siano le conseguenze della eventuale nullità parziale delle relative clausole sul complessivo assetto negoziale e sulla possibilità di una eventuale sostituzione automatica - e in quali termini - con previsioni minimali di legge.

In tale contesto va quindi rivista la conclusione cui è giunta la medesima Corte con l’ordinanza del dicembre 2023: alla decisione della Commissione Europea del 4 dicembre 2013 può certamente essere riconosciuto il valore di “prova privilegiata, ma sarà poi indispensabile fornire le prove concrete del danno subito per qualificare come inefficace, per tutto il periodo in cui ha prodotto conseguenze l’intesa illecita, la clausola negoziale contenente il riferimento al parametro Euribor.

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*A cura degli Avv.ti Antonino La Lumia e Claudia Carmicino (Lexalent)

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