La Consulta «blinda» il segreto investigativo
La Corte costituzionale blinda il segreto investigativo. Con un comunicato diffuso ieri, la Consulta dichiara di avere accolto il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal procuratore di Bari nei confronti del Governo.
Nel mirino la previsione, da subito assai discussa (tanto da avere convinto il procuratore di Torino Armando Spataro a emanare indicazioni per sterilizzarne gli effetti),inserita nel decreto legislativo 177 del 2016, che stabilisce, in buona sostanza, che ogni rappresentante delle Forze dell’ordine (poliziotto, carabiniere o finanziere) deve trasmettere al proprio superiore gerarchico le notizie relative alle informative di reato all’autorità giudiziaria «indipendentemente dagli obblighi prescritti dal Codice di procedura penale». Con buona pace del segreto investigativo, eccepirono da subito in molti.
In questo modo, spiegava Spataro, si stabilisce «attraverso un’evidente forzatura, che un atto non ancora valutato dal pm finisce sul tavolo di strutture direttamente dipendenti dal potere esecutivo. Così il segreto investigativo rischia di diventare carta straccia». Secondo Spataro, si tratta di «un’ulteriore evoluzione della generale tendenza a spostare ogni attività verso l’esecutivo, persino la guida della polizia giudiziaria».
E tra i nettamente contrari anche il Csm che invitò, poco più di un anno fa, l’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando a intervenire.
Per il Consiglio, infatti, la norma introdotta, oltre che di discutibile coerenza con i principi di delega, era in totale disarmonia con uno dei cardini del sistema processuale penale italiano, appunto il segreto investigativo, oltre che con i principi costituzionali della disposizione della polizia giudiziaria da parte della magistratura e dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Infatti, sottolineava la delibera del Csm del giugno 2017, la comunicazione in via gerarchica delle informazioni, prevista dalla legge senza alcun filtro o controllo del pubblico ministero, rivolte fra l’altro anche a soggetti che non rivestono la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria e che, per la loro posizione di vertice, vedono particolarmente stretto il rapporto di dipendenza dal Governo, appariva non essere in linea con le prerogative riconosciute al pubblico ministero nell’esercizio dell’attività d’indagine, visto che le stesse sono portate a conoscenza di soggetti esterni al perimetro dell’indagine stessa. Senza tenere conto poi del fatto che l’obbligo del segreto investigativo è, nella lettura del Csm, strumentale all’attuazione del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Ora la Corte costituzionale, nell’attesa di leggere le motivazioni della sentenza che saranno note solo tra qualche settimana, rende evidente la condivisione delle perplessità, visto che, recita il comunicato, pur riconoscendo che «le esigenze di coordinamento informativo poste a fondamento della disposizione impugnata sono meritevoli di tutela, ha ritenuto lesiva delle attribuzioni costituzionali del pubblico ministero, garantite dall’articolo 109 della Costituzione, la specifica disciplina della trasmissione per via gerarchica delle informative di reato».
Corte costituzionale - Comunicato del 7 novembre 2018