Penale

La Consulta rinvia al legislatore le scelte sull’uso degli embrioni per la ricerca

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di Patrizia Maciocchi

La dignità dell'embrione, come entità che ha in sé il principio della vita, ha un valore di rilevo costituzionale. La Consulta, con la sentenza n.84 depositata ieri, giudica inammissibili i dubbi sul contrasto con la Costituzione di alcuni articoli della legge 40, in particolare per la parte in cui vieta di donare ai fini di ricerca scientifica gli embrioni non impiantabili nell'ambito della procreazione medicalmente assistita.
Il giudice delle leggi, nel precisare che sul punto la parola spetta al legislatore, ha ricordato la precedente giurisprudenza con la quale la Consulta (sentenza 229 del 2015) ha escluso la fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 1 e 6, della legge 40, che vietano la soppressione degli embrioni anche se affetti da malattia genetica. Una decisione basata sulla premessa che l'embrione non è riconducibile a mero materiale biologico e sulla considerazione per cui il vulnus alla tutela della sua dignità non trova giustificazione, in termini di contrappeso, nella tutela dell'interesse antagonista.
Partendo da questi presupposti giuridici, la Consulta afferma che la tutela dell'embrione non può essere affievolita per il solo fatto che si tratta di embrioni malati e come ogni altro valore costituzionale è soggetta a bilanciamento. Ed è proprio sul bilanciamento dei diversi valori in gioco - tutela dell'embrione e ricerca scientifica finalizzata alla tutela della salute individuale e collettiva - che il giudice remittente chiedeva il parere della Consulta per abrogare il divieto di donazione degli embrioni soprannumerari.
Ma sul punto la Corte costituzionale passa la parola al legislatore, chiarendo che anche la Corte di Strasburgo ha fatto la stessa scelta. Infatti, la Corte europea dei diritti dell'Uomo (sentenza Parrillo contro Italia) ha affermato che l'Italia non è l'unico stato membro del Consiglio d'Europa a vietare la donazione di embrioni umani per destinarli alla ricerca, ritenendo così che il Governo non avesse superato il suo margine di discrezionalità nel subordinare la ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano alla condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche collegate alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso, qualora esistano metodi alternativi.
Di fronte a quella che qualcuno ha definito una scelta tragica tra il rispetto del principio della vita e le esigenze di ricerca – sottolinea la Consulta – la linea di composizione tra i diversi interessi rientra nell'ambito di intervento del legislatore, che “quale interprete della volontà della collettività, è chiamato a tradurre sul piano normativo, il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati, nel momento dato, nella coscienza sociale”.
La scelta invocata, secondo la Consulta, è di così elevata discrezionalità, per i profili assiologici che la connotano, da sottrarsi al sindacato della Corte costituzionale.
La via legislativa è stata la sola possibile anche per gli stati europei che, come ricordato da Strasburgo, hanno adottato “un approccio permissivo” nei confronti della ricerca sulle cellule embrionali.

Corte costituzionale - Sentenza 13 aprile 2016 n. 84

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