Amministrativo

La mancanza di mezzi di sostentamento familiare non blocca l'interdittiva antimafia

Non accolto il ricorso contro il mancato rinvio alla Consulta della norma del Codice antimafia

di Paola Rossi

Non è possibile escludere l'adozione del provvedimento interdittivo per mancanza dei mezzi di sostentamento dell'interessato e della sua famiglia. Così il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1579/2021 ha respinto il ricorso contro la sentenza del Tar che aveva ritenuto irrilevante ai fini del giudizio in questione la rimessione alla Corte costituzionale del giudizio di legittimità sull'articolo 92 del Codice antimafia (Dlgs 159/2011).
Il Consiglio di Stato valorizza il preminente interesse pubblico a evitare infiltrazioni della criminalità organizzata nei rapporti economici con la pubblica amministrazione e, ritiene che, a fronte dell'esistenza degli indizi di "infiltrazione su cui poggia l'interdittiva assunta dal prefetto", non vi sia ragione di dichiararne l'inefficacia. Neanche a fronte del rilievo di parte secondo cui vi sarebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra il regime interdittivo e quello delle misure di prevenzione che tiene invece conto delle esigenze di sostentamento dell'imprenditore e dei suoi familiari. Rilievo che infruttuosamente era stato speso per rinviare alla Consulta la norma che impedisce il venir meno delle preclusioni e dei divieti per tali esigenze di sostentamento. Quindi per il Consiglio di Stato "non è erronea la sentenza del giudice di primo grado che non avrebbe valutato la sospensione e/o rimessione alla Corte cost. dell'art. 92, d.lgs. n. 159 del 2011, che in materia di interdittive antimafia preclude al Prefetto la possibilità di escludere le decadenze ed i divieti previsti, nel caso di mancanza dei mezzi di sostentamento all'interessato ed alla sua famiglia". E sul caso specifico afferma che non vi sono elementi per ritenere inficiato il provvedimento interdittivo che – al contrario – appare "giustificato dalla motivata necessità di prevenire il pericolo del fenomeno mafioso, i cui aspetti di perniciosità sono stati da ultimo evidenziati dalla Corte Costituzionale con la sentenza del 26 marzo 2020, n. 57 quanto alle conseguenti lesioni della libera concorrenza, nonché della dignità e libertà umana".

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