Penale

La proposta: accesso alla giustizia riparativa già dalla denuncia

Lo chiede Rete Dafne, nata nel capoluogo piemontese e a cui poi hanno aderito altri territori

di Valentina Maglione e Bianca Lucia Mazzei

Dare a tutte le vittima la possibilità di avere un supporto fin dalla denuncia. Perché se in Italia sono molti i servizi “settoriali”, dedicati ad esempio alle donne che hanno subito violenza o, ai minori maltrattati, sono invece pochi quelli che lavorano con tutte le vittime di tutti i reati.

È con questo obiettivo che il Progetto Rete Dafne è stato tenuto a battesimo nel 2008 a Torino dalla Procura della Repubblica insieme con enti pubblici (Comune e Città Metropolitana), Asl, associazioni (Gruppo Abele e Ghenos) e Compagnia di San Paolo. Da lì si è allargato ad altri territori, tanto che nel 2018 è nata Rete Dafne Italia, con sedi in Toscana, Campania, Puglia e Sardegna.

«L’introduzione di una disciplina legislativa della giustizia riparativa è una grande innovazione - dice Marco Bouchard, già magistrato, ideatore del progetto e oggi presidente di Rete Dafne Italia - ma bisogna fare in modo che la riforma raggiunga davvero le vittime. Proporremo al ministero della Giustizia di creare strutture di collegamento tra servizi di assistenza alle vittime (purtroppo pochissimi) e i centri di giustizia riparativa. Inoltre le vittime devono essere informate dell’esistenza di servizi a loro dedicati già al momento della denuncia. Altrimenti si rischia di non uscire da un approccio reocentrico».

Con le vittime dei reati, Rete Dafne promuove un percorso articolato in diverse fasi, come spiega Giovanni Ghibaudi, già coordinatore del centro di mediazione penale del Comune di Torino e anche lui tra i promotori del progetto: «Intanto l’accoglienza, poi l’attivazione dei servizi specialistici della rete. A disposizione di chi ha subito un reato si mette il supporto psicologico e, se occorre, medico-psichiatrico. Poi informazioni sui diritti, sulla possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato, sull’iter giudiziario. E, se ci sono le condizioni, un percorso di mediazione penale e di giustizia riparativa».

Il territorio piemontese è particolarmente sensibile al tema della riparazione. Lo dimostra il fatto che proprio il centro di mediazione penale del Comune di Torino, nato nel 1995, abbia aperto all’incontro tra vittima e autore del reato, sperimentandolo in situazioni diverse. Ad esempio, in un caso di molestie di un ragazzo minorenne a danno di una coetanea, racconta Ghibaudi, «abbiamo accompagnato le famiglie in un percorso di dieci mesi. Abbiamo incontrato il ragazzo e fatto incontrare le coppie di genitori, fino al confronto tra il padre della vittima e il giovane reo».

Ma la mediazione penale è stata sperimentata anche quando una vittima in senso stretto non c’era: ad esempio, spiega Ghibaudi «in un caso di ripetuti reati di danneggiamento a beni pubblici commessi da un gruppo di ragazzini. Abbiamo coinvolto i rappresentanti della comunità, a partire dal sindaco, e ragionato su come riparare il danno e l’immagine dei giovani, attraverso una loro assunzione di responsabilità».

La giustizia riparativa è entrata anche nel carcere minorile di Torino con il progetto, finanziato dal ministero della Giustizia, «So-Stare», che propone laboratori e gruppi di discussione rivolti agli autori dei reati.

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