Società

La put option a prezzo predeterminato alla luce degli ultimi orientamenti della giurisprudenza

Numerose pronunce della giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, hanno enucleato i criteri attraverso i quali è possibile considerare la nullità delle put apposte nei patti parasociali. In alcuni casi il criterio utilizzato è la durata dell'opzione put di natura "protettiva"

di Giovanni Marra, Michela Moretti*

I patti parasociali sono accordi sottoscritti tra tutti o parte dei soci, finalizzati a regolare gli assetti proprietari o di governo della società. Con essi si possono stabilire regole precise e certe che definiscono i rapporti proprietari tra soci nel corso della vita della società.

Tali accordi, che obbligano solo pascienti e non hanno efficacia erga omnes come accade per gli altri patti sociali, accedono normalmente a qualsiasi rapporto societario e in particolar modo nell'ambito degli accordi di investimento come ad esempio nelle start-up innovative.

In tale contesto, infatti, spesso l'impresa e l'investitore, oltre a regolare gli aspetti legati all'apporto di equity e contestuale aumento di capitale, si accordano anche per stabilire come regolare l'ingresso di nuovi investitori e/o l'uscita in genere dei soci dalla compagine societaria e cioè il way-out. Lo strumento giuridico per regolare tale uscita sono le call/put option apposte normalmente nella gestione dei rapporti tra i soci negli accordi di investimento. Si tratta di diritti di opzione ex art 1331 del c.c. che attribuiscono il diritto di acquistare o vendere le quote ad un prezzo determinato o con criteri di calcolo predeterminati.

Quindi con la opzione call il socio si obbliga ad offrire in vendita la quota e l'oblato è libero di acquistare o meno al prezzo predeterminato mentre con l'opzione put il socio si obbliga ad acquistare le quote che l'oblato potrà decidere di vendere oppure no.

È oggetto di dibattito sia in giurisprudenza che in dottrina la compatibilità della clausola put con il divieto generale del patto leonino contenuto all'art.2265 del codice civile, il quale prevede la nullità del patto con cui uno o più soci vengono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite.

Sebbene tale divieto sia previsto in riferimento alle società di persone, ad oggi è ormai pacifico che si possa estendere anche alle società di capitali limitando l'autonomia dei soci in favore della ratio dell'art. 2265 ovvero nell'assicurare la corretta gestione della società nell'interesse della società stessa, dei terzi e della collettività, evitando così che un socio possa influenzare la gestione dell'impresa senza sopportare il rischio economico delle decisioni e beneficiando unicamente del profitto.

La questione più controversa del suddetto dibattito afferisce al prezzo di uscita del socio che esercita la put option.

Come noto infatti spesso la determinazione della quota in caso di esercizio della opzione put può essere rimessa alla valutazione di un esperto indipendente o comunque la clausola può rimandare al criterio del valore di mercato oppure si può prevedere un prezzo fisso in caso di esercizio.

Pertanto, e questo è il caso più controverso in quanto genera forti dubbi in merito alla legittimità, un accordo parasociale tra soci potrebbe prevedere l'esercizio da parte di un socio dell'opzione che determina la sua uscita dalla compagine societaria e l'obbligo di acquisto da parte dell'altro socio ad un valore che potrebbe essere superiore rispetto al valore della società (e quindi al valore effettivo della quota). Infatti, tra la stipula del patto parasociale e il successivo esercizio della put, potrebbe essersi verificato un andamento negativo della società con ripercussioni sul valore della stessa e quindi della quota. Ora, tale ipotesi potrebbe tradursi in un sostanziale violazione del divieto di patto leonino in quanto il socio in favore del quale è stata stipulata la put a prezzo predeterminato di fatto è protetto da vicende negative legate alla gestione della società nel corso del tempo. Egli può infatti ottenere una liquidazione superiore rispetto al valore di mercato per effetto della predeterminazione.
Si noti infatti come questo meccanismo protettivo possa inficiare la causa sociale che assume come elemento centrale la partecipazione al rischio di impresa.

Chiarito ciò, sul punto si registrano numerose pronunce della giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, attraverso le quali si sono enucleati criteri attraverso i quali è possibile considerare la nullità delle put apposte nei patti parasociali. In alcuni casi il criterio utilizzato è la durata dell'opzione put di natura "protettiva" se quindi circoscritta per un certo periodo di tempo non costituisce violazione del divieto di patto leonino; dunque, il carattere dell'assolutezza e costanza nel tempo costruisce un elemento dirimente per l'espressione di un giudizio di validità della clausola in oggetto.

Di recente, con l' ordinanza n. 27227 del 7 ottobre 2021 la Corte di Cassazione ha dichiarato valido l'accordo tra soci di una società di capitali che prevede opzione di put and call a prezzo prefissato da esercitarsi entro un termine dato. Con la pronuncia in oggetto la Suprema Corte ha ritenuto che l'accordo tra soci non sia idoneo ad alterare la struttura e la funzione del contratto sociale, e dunque causa del contratto sociale.

Il Supremo Collegio, chiamato a pronunciarsi in merito alla violazione dell'art. 2256 c.c. ad opera della clausola ha richiamato preliminarmente il principio di diritto ormai consolidato secondo cui è lecito e meritevole di tutela l'accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l'uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l'altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l'attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell'acquisto, pur con l'aggiunta di interessi sull'importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società ( Cass. 4 luglio 2018, n. 17498 ).

A fondamento dell'orientamento sopracitato la Suprema Corte ha argomentato partendo dal presupposto che al fine di stabilire la validità o meno della clausola put bisogna verificare se la causa del rapporto societario rimane invariata o se viene compromessa tramite un meccanismo indennitario che esonera un socio da qualsiasi perdita o lo esclude dalla divisione degli utili, o da entrambi, perché solo in tal caso può dirsi che l'art. 2265 c.c. sia stato violato.

L'esclusione, precisa il Supremo Collegio, dalle perdite o dagli utili, deve costituire una «situazione assoluta e costante» ( Cass. 29 ottobre 1994, n. 8927 ), per potersi compiere un'alterazione della causa societaria in cui in riferimento al socio escluso si determina una deviazione causale da rapporto associativo a rapporto di scambio con l'ente stesso.

Nel caso di specie la clausola put con meccanismo protettivo consentiva al socio investitore di recuperare l'apporto a titolo di investimento e all'altro socio di ricevere i maggiori profitti dell'impresa per un periodo di tempo circoscritto e limitato. Pertanto, la natura temporanea del patto rende lo stesso meritevole di tutela in quanto realizza comunque uno scambio sinallagmatico tra i soci salvando la finalità tipica del rapporto associativo.

Per il Supremo Collegio, dunque, la ratio del divieto di patto leonino di cui all'art. 2265 del codice civile è da ricondurre in una "necessaria suddivisione dei risultati dell'impresa economica, tuttavia quale tipicamente propria dell'intera compagine sociale e con rilievo reale verso l'ente collettivo; mentre nessun significato in tal senso potrà assumere il trasferimento del rischio puramente interno fra un socio e un altro socio o un terzo, allorché non alteri la struttura e la funzione del contratto sociale, né modifichi la posizione del socio in società, e dunque non abbia nessun effetto verso la società stessa".

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*A cura di Avv. Giovanni Marra e Dott.ssa Michela Moretti

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