Amministrativo

La sterilizzazione dei rifiuti sanitari all'interno degli ospedali: una scelta pericolosa per la salute e per l'ambiente

Dopo il trattamento il rifiuto sanitario è disciplinato come "urbano", ricadute sul piano ambientale e di salute pubblica

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di Stefania Giampietro


Il trattamento dei rifiuti ospedalieri in loco, fortemente voluto dal Governo ed oggi previsto dalla legge come modalità standard di gestione di questo tipo di rifiuti, pone una serie di criticità, soprattutto di carattere sanitario ed ambientale dal momento che, dopo il trattamento, essi sono disciplinati come urbani.

Ci si riferisce ai rifiuti sanitari a rischio infettivo che sono sterilizzati in impianti localizzati all'interno del perimetro della struttura sanitaria che li produce anche nel caso in cui provengano da strutture sanitarie decentrate ma organizzativamente e funzionalmente collegate alla struttura sanitaria principale.

Il problema sta nel fatto che la gestione del rifiuto sanitario, sterilizzato in loco, come un rifiuto urbano prescinde dalla procedura di assimilazione (volta appunto alla sua riqualificazione, da "speciale combustibile con CER 19 12 10" a urbano, ai fini del regime giuridico cui sottoporlo) che consiste nella predeterminazione dei limiti quantitativi di conferimento al servizio pubblico che li dovrà gestire insieme agli altri RU; da un controllo qualitativo sulla composizione merceologica del rifiuto speciale che deve essere analoga a quella del rifiuto urbano; da una verifica sulla presenza di emissioni, effluenti o comunque effetti che possano comportare eventuale maggior pericolo per la salute dell'uomo e/o per l'ambiente rispetto a quelli derivanti dallo smaltimento, nel medesimo impianto o nel medesimo tipo di impianto, di rifiuti urbani, nonché sulla loro compatibilità tecnologica in funzione dello specifico impianto di trattamento.

Le dirette conseguenze in termini di rischio ambientale appaiono evidenti: aumento, anzichè riduzione dei rifiuti urbani da gestire, assenza del controllo quantitativo (che avviene in sede di assimilazione), in un contesto nazionale di evidente deficit impiantistico per il loro recupero energetico e conseguente ricorso alle discariche, contrariamente alle sempre più pressanti richieste, di matrice europea, di attuazione di una economia circolare dei rifiuti.

Per non dire poi dei potenziali rischi per la salute pubblica, ove si consideri che, non consentendo alcun controllo qualitativo sul rifiuto sterilizzato in situ, diviene indispensabile accertare, analiticamente o con adeguata documentazione, che la classificazione del rifiuto sia stata effettuata in modo corretto.
Una ulteriore criticità che emerge riguarda l'effettiva operatività della sterilizzazione in situ: quanto è diffusa questa pratica? Quante sono le strutture sanitarie pubbliche e private dotate di impianti di sterilizzazione la cui efficacia risponde alle caratteristiche impiantistiche e di qualità predicate dal DPR 254/2003 (che disciplina la gestione dei rifiuti sanitari)?
Si pensi anche ai costi di questi impianti di sterilizzazione da collocare nel perimetro interno della struttura ospedaliera, con la conseguente organizzazione logistica: con quali risorse verranno acquistati tali macchinari? Con la spesa pubblica tramite il sistema degli incentivi statali?
Questa domanda pone un ulteriore quesito: in termini di efficacia ed efficienza di un trattamento in situ, anche in relazione alle problematiche di tipo tecnologico, gestionale e connesse responsabilità, che percentuale di rifiuti interessa questo tipo di gestione rispetto alla globalità dei rifiuti prodotti dalla struttura sanitaria?
Le conseguenze negative di questa scelta politica si traducono nella manipolazione del rifiuto sanitario infetto, prima e dopo la sterilizzazione, da parte di un crescente numero di soggetti: si pensi, per esempio, alla movimentazione, dentro e fuori la struttura sanitaria e da quelle decentrate verso la prima.
E, ancora, gli impianti di sterilizzazione (da collocare in situ) non forniscono le medesime garanzie della gestione in ambiente controllato proprie degli impianti di trattamento specifici e/o di confinamento finale.
Occorre aggiungere la notevole dilatazione delle responsabilità personali, civili e penali, della figura del direttore sanitario e di quelle amministrative e organizzative della struttura ospedaliera (ex D.Lgs n. 231/2001); nonché quelle in capo agli enti locali i quali non possono più avere il controllo sulla quantità e qualità dei rifiuti urbani che sono tenuti a gestire secondo criteri di efficienza efficacia e in base ad una pianificazione fissata dalla legge quadro in materia di rifiuti (v. art. 198 bis, D.Lgs n.116/2020).
Conclusivamente, si ritiene che nell'attuale contesto emergenziale, stanti le storiche inefficienze del sistema sanitario nazionale, la soluzione legislativa scelta per incentivare la sterilizzazione in situ del rifiuto sanitario infetto – depositato e movimentato all'interno della struttura sanitaria (come pure dalle strutture sanitarie decentrate verso la prima) – possa amplificare a dismisura il rischio sanitario ed ambientale come pure le responsabilità organizzative da questo derivanti in capo alle strutture ospedaliere.

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