Civile

La violazione di norme imperative nei rapporti bancari è opponibile anche nel caso di contratto autonomo di garanzia

Nota a sentenza della Cassazione, Sezione Prima Civile, 6 settembre 2021, n. 24011

di Antonino La Lumia *

La Cassazione, con la recentissima ordinanza n. 24011 del 6 settembre 2021, fa il punto sulle delicate dinamiche processuali innescate periodicamente dalla relazione controversa tra contratto autonomo di garanzia e vizi emergenti dai rapporti bancari: il nodo più complesso attiene, infatti, alla natura e agli effetti del primo che, secondo una certa impostazione, non consentirebbe al garante - pur obbligato nei confronti dell'Istituto di credito - di mettere sul "tavolo da gioco" giudiziale le vicende (asseritamente) patologiche del contratto bancario a monte (i.e. la fattispecie negoziale garantita), rimanendo di fatto estraneo alle stesse.

La tesi, portata avanti ovviamente dal ceto bancario, non convince perché propone una lettura asettica delle norme coinvolte, che dovrebbe invece abdicare in favore di un'interpretazione sistematica della disciplina di settore, la quale non può che valorizzare una tutela ampia e concreta dei diritti del cliente (e del garante) a fronte di violazioni di norme imperative, ossia di condotte della Banca chiaramente contra legem.

In generale, come ha avuto modo di rimarcare più volte la giurisprudenza di legittimità e di merito, il contratto autonomo di garanzia - espressione dell'autonomia negoziale riconosciuta alle parti dall'art. 1322, secondo comma, c.c. - "si configura come un coacervo di rapporti nascenti da autonome pattuizioni fra il destinatario della prestazione (beneficiario della garanzia), il garante (di solito una banca straniera), l'eventuale controgarante (soggetto non necessario, che solitamente si identifica in una banca nazionale che copre la garanzia assunta da quella straniera) e il debitore della prestazione (l'ordinante). Caratteristica fondamentale di tale contratto, che vale a distinguerlo da quello di fideiussione di cui agli artt. 1936 e ss. c.c., è la carenza dell'elemento dell'accessorietà: il garante s'impegna a pagare al beneficiario, senza opporre eccezioni in ordine alla validità e/o all'efficacia del rapporto di base, e identico impegno assume il controgarante nei confronti del garante. Pertanto, sottoscrivendo tale negozio, il garante si impegna ad adempiere alla propria obbligazione a semplice richiesta della controparte, la quale può limitarsi ad allegare l'inadempimento del debitore principale al contratto a cui si riferisce la garanzia" (Trib. Milano, sez. VI civ., 15 febbraio 2021, n. 1315; cfr. anche: Trib. Roma, sez. XVII civ., 3 febbraio 2021, n. 1974; C. Appello Roma, sez. III civ., 14 aprile 2021, n. 2691).

In questo senso, si è ritenuto che l'inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento "a prima richiesta e senza eccezioni" consenta di qualificare il negozio in termini di contratto autonomo di garanzia: ciò in quanto detta clausola risulta incompatibile con il carattere di accessorietà che riguarda - invece - il contratto di fideiussione, salvo quando sussista una palese discrasia rispetto all'intero contenuto della convenzione negoziale, non desumibile, peraltro, dalla semplice circostanza che il garante si sia costituito "fideiussore solidale", atteso che la rinuncia alle eccezioni contrasta con l'assunzione di un impegno solidale (Cass. Civ., sez. VI, 3 dicembre 2020, n. 27619).

A fronte di tale inquadramento giuridico, il tema di scontro processuale nasce quando - come nel caso di specie - il garante intenda far valere le asserite nullità del rapporto bancario a monte oggetto della garanzia (e che, in teoria, dovrebbe seguire un canale parallelo, non intersecandosi con gli effetti di possibili violazioni di legge): in particolare, parte ricorrente aveva criticato la sentenza di appello, per contrasto con gli artt. 1283, 1418 e 1419 c.c., sostenendo che - anche volendo interpretare il contratto come autonomo di garanzia - non fossero per questo precluse al garante le eccezioni relative al rapporto originario, se inerenti a violazione di norme imperative, come quelle specifiche per l'avvenuta applicazione di interessi anatocistici nel conto corrente.

Nella pronuncia in commento, la Suprema Corte mostra di non condividere l'impostazione dei giudici di appello che - pur avendo presente il principio di diritto, secondo cui il garante non può opporre al creditore la nullità del patto relativo al rapporto garantito, tranne che essa non dipenda da contrarietà a norme imperative o dall'illiceità della causa - avevano ritenuto che, nell'ipotesi di contratto autonomo di garanzia, la nullità dell'applicazione di interessi anatocistici e ultralegali potesse essere fatta valere unicamente dal debitore e non dal garante: secondo tale ragionamento, infatti, detti interessi non sarebbero in sé contrari a norme imperative, essendo previsti dal codice civile, agli artt. 1283 e 1284 c.c., pertanto non potrebbe sussistere alcun contrasto.

Come anticipato, la Cassazione dimostra di voler seguire una direttrice diversa, facendo leva sul precedente orientamento, secondo cui "nel contratto autonomo di garanzia, il garante è legittimato a proporre eccezioni fondate sulla nullità anche parziale del contratto base per contrarietà a norme imperative, con la conseguenza che può essere sollevata anche da costui, nei confronti della banca, l'eccezione di nullità della clausola anatocistica": è vero, infatti, che - in caso contrario - si consentirebbe al creditore di ottenere per il tramite del garante, un risultato vietato dall'ordinamento (Cass. 10 gennaio 2018, n. 371; Cass. SS.UU., 3947/2010).

L'ordinanza sottolinea, con condivisibile ricostruzione, che - qualora non ricorrano le condizioni legittimanti previste dal citato art. 1283 c.c. - la capitalizzazione deve considerarsi vietata per violazione di una norma cogente, dettata a tutela di un interesse pubblico, atteso che si fonda su un uso negoziale, anziché normativo (unica ipotesi derogatoria prevista dalla disciplina codicistica).

Sul punto, la Suprema Corte evidenzia correttamente come non sia sufficiente il rilievo astratto che l'applicazione di interessi anatocistici non sia contraria in sé a norme imperative: occorre, infatti, analizzare la fattispecie in concreto, al fine di verificare se, nel testo contrattuale, tali interessi siano stati pattuiti dalle parti in contrasto con gli artt. 1283 c.c. e 120 T.U.B., dovendosi ritenere - in questo caso - che sussista una palese contrarietà a norma imperativa.

La conclusione - ineccepibile in punto di diritto - è che "ove il correntista alleghi l'applicazione di interessi anatocistici in virtù di clausole inserite nel contratto di conto corrente in violazione dell'art. 1283 c.c. (o dell'art. 120 TUB), venendo in considerazione fattispecie di applicazione di interessi in contrasto con norme imperative, la nullità si comunica al rapporto di garanzia e la relativa eccezione può essere fatta valere quindi anche dal garante".

*a cura dell'avv. Antonino La Lumia (Founding Partner di Lexalent)

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