Il CommentoAmministrativo

La white list antimafia nelle gare pubbliche, una documentazione incompresa anche nel nuovo Codice

Da anni sentiamo parlare di <span id="U4024001605871xC" style="font-weight:normal;font-style:italic;">white list </span>una ex novità del lontano 2012 quando il Ministro Padroni Griffi mise appunto una misura di semplificazione della documentazione antimafia, documentazione che tutti noi sappiamo esser non tempestiva, tanto da dover prevedere nell'ultimo decreto semplificazione, il n. 76/2020, una misura provvisoria liberatoria ante rilascio della documentazione vera e propria.

di Francesca Petullà*

White list sì o no?

Da anni sentiamo parlare di white list una ex novità del lontano 2012 quando il Ministro Padroni Griffi mise appunto una misura di semplificazione della documentazione antimafia, documentazione che tutti noi sappiamo esser non tempestiva, tanto da dover prevedere nell'ultimo decreto semplificazione, il n. 76/2020, una misura provvisoria liberatoria ante rilascio della documentazione vera e propria.

In 10 anni dalla sua introduzione abbiamo capitalizzato che la iscrizione in questione è obbligatoria per coloro che operano in settori vulnerabili per le infiltrazioni mafiose e che via via questo elenco è andato aumentando ampliandosi annualmente con nuovi settori (si pensi al noleggio macchinari tutti indistintamente, non solo quelli di cantiere, ma anche quelli impiegati nella sanità).

Abbiamo capitalizzato che l'inserimento negli elenchi comportano una fase di indagine capillare che non comprende solo possibili aderenze con fenomeni strettamente mafiosi e quindi richiedono tempo.

Abbiamo capitalizzato che gli elenchi delle Prefetture sono due e precisamente l'elenco di chi ha chiesto di esser iscritto alla white list e chi lo è già iscritto.

Abbiamo, pure, capitalizzato che per la partecipazione alle gare è sufficiente esser inserito nell'elenco di chi ha formulato richiesta di iscrizione

Abbiamo altresì, capitalizzato che è ius receptum la pacifica vigenza del principio per il quale la disciplina delle white list, introdotta dall'articolo 1, commi 52 e segg., della legge 6 novembre 2011, n. 190, fa tutt'uno con quella delle informative interdittive antimafia e la integra..

Tale conclusione, riguardante l'assimilazione dei due documenti antimafia (la comunicazione antimafia e l'informazione antimafia), non si limita, invero, ai soli effetti interdittivi, ma si estende anche alla sua natura di requisito soggettivo di partecipazione alle gare.

Abbiamo capitalizzato, infine , che non è dirimente che l'articolo 80, comma 2, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 richiami solo le informative "classiche", dovendosi tener conto del disposto del comma 52 dell'articolo 1, l. n. 190/2012, da cui emerge chiaramente che la white list altro non è che una modalità particolare di effettuazione delle verifiche antimafia, prevista dalla legge in relazione a particolari settori, di modo che il richiamo alle informative prefettizie deve intendersi sempre riferito anche alla iscrizione a tali liste.

Da ciò discende che l'amministrazione non possa sottrarsi alla forza cogente della previsione e, segnatamente, della parte in cui viene richiesto a pena di esclusione che gli operatori economici fossero iscritti – o avessero presentato domanda di iscrizione prima della presentazione della domanda di partecipazione – in appositi elenchi (cd. white list) istituiti presso la Prefettura del luogo in cui l'impresa ha la propria sede legale, così come indicato dall'art. 1, comma 52, della Legge n. 190/2012 e dal D.P.C.M. del 18 aprile 2013.

E si badi bene che, con buona pace degli amanti dell'esegesi normativa, tale ricostruzione non costituisce una violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione ex art. 83, comma 8, del D.lgs. n. 50/2016, perché è ormai acclarato che le stazioni appaltanti indicano le condizioni di partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di capacità, congiuntamente agli idonei mezzi di prova, nel bando di gara o nell'invito a confermare interesse, ed effettuano la verifica formale e sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche e professionali, ivi comprese le risorse umane, organiche all'impresa, nonché delle attività effettivamente eseguite.

In estrema sintesi la necessità di ricorrere alla eterointegrazione dalla legge di gara, presidiata dalla sanzione espulsiva, si rivela funzionale ad esigenze di prevenzione che permeano, alla stregua della legislazione di settore, anche la disciplina della gara e che condizionano la possibilità di aggiudicazione e di stipula dei contratti pubblici.

Ma è così veramente? No , ancora litighiamo e tra gli addetti ai lavori, come si riporterà, si è in cerca di una visione unitaria di una normativa complessa quale è quella antimafia.

L'iscrizione requisito obbligatorio di partecipazione

L'iscrizione alla white list può essere richiesta quale requisito obbligatorio di partecipazione solamente per attività che siano riconducibili alle categorie considerate a rischio. Inoltre, in quanto requisito di ordine generale attinente alla moralità professionale, deve essere posseduto al momento della partecipazione alla procedura di gara, con la conseguenza che la mancata iscrizione (o la mancata dichiarazione di aver presentato idonea domanda di iscrizione nel predetto elenco) determina l'inammissibilità dell'impresa e la sua esclusione dalla gara.

Trattandosi di un requisito ex lege a presidio di diritti e principi di ordine costituzionale, quali la salvaguardia dell'ordine pubblico, della concorrenza e del buon andamento della Pubblica Amministrazione, esso non può essere derogato dalla stazione appaltante nell'elaborazione dei documenti di gara.

Le eventuali clausole di segno contrario o l'assenza della clausola che imponga, a pena di esclusione, detta iscrizione sono suscettibili di essere sostituite o colmate, attraverso l'eterointegrazione degli atti di gara e ciò in considerazione della natura imperativa e cogente della disciplina relativa agli accertamenti antimafia nei settori a rischio di infiltrazione mafiosa.

L'iscrizione alla white list dovrà essere posseduta soltanto dal soggetto che effettivamente andrà a svolgere la prestazione rientrante all'interno dell'elenco di cui all'articolo 1, comma 53, il quale potrà essere, in base al caso concreto, l'appaltatore, un'impresa del raggruppamento temporaneo verticale, il subappaltatore o il subaffidatario.

In caso di RTI orizzontale, ad esempio, il requisito dell'iscrizione all'elenco in parola deve essere posseduto da tutti i componenti del raggruppamento. Sembra lineare e logica questa ricostruzione, ma è frutto di 10 anni di giurisprudenza e prassi amministrative che a vari titolo sono intervenute, tra cui le circolari del Ministero dell'Interno e, addirittura delle singole Prefetture.

A chi sostiene che la white list è inutile occorre replicare facendo presente che lo strumento non è una duplicazione delle comunicazioni e informazioni antimafia, perché lo strumento è stato introdotto nell'ordinamento quando il T.U. antimafia (T.U. n. 159/2011) era già in vigore. Se fosse realmente un doppione non si comprenderebbe perché nel decreto semplificazione, all'art. 3, si prescrive "2. L'iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori di cui all'articolo 1, commi 52 e seguenti, della legge 6 novembre 2012, n. 190, nonche' l'iscrizione nell'anagrafe antimafia degli esecutori istituita dall'articolo 30 del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229, equivale al rilascio dell'informazione antimafia".

White list: finalità e scopo e l'inserimento nel novero delle misure di prevenzione

Dopo l'intervento legislativo sopra ricordato non si può non sostenere che i commi 52, 52 bis e 53 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2012 prevedono, per determinati settori sensibili, l'iscrizione nella white list quale meccanismo sostitutivo della documentazione antimafia. Da parte sua, il D.P.C.M. del 18 aprile 2013 prescrive che la consultazione del relativo elenco è la modalità obbligatoria per l'acquisizione della documentazione antimafia necessaria in vista del perfezionamento del successivo contratto.

In particolare, per le attività di cui al comma 53 , l'iscrizione nella white list, nei rapporti negoziali con la pubblica amministrazione, tiene luogo della comunicazione e dell'informazione antimafia liberatoria "ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti", come si desume dal comma 52-bis (che, invero, si occupa di estendere il valore certificativo – equivalente a quello della documentazione antimafia – della white list ad "attività diverse" da quelle per le quali essa è stata disposta, con ciò presupponendo tale valore con riferimento alle attività tipiche).

Ugualmente, il D.P.C.M. attuativo 18 aprile 2013 (come aggiornato da successivo D.P.C.M. 24 novembre 2016) afferma che "la consultazione dell'elenco, secondo le modalità stabilite dall'art. 7, è la modalità obbligatoria attraverso la quale i soggetti di cui all'art. 83, commi 1 e 2, del Codice antimafia acquisiscono la comunicazione e l'informazione antimafia ai fini della stipula, dell'approvazione o dell'autorizzazione di contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici aventi ad oggetto le attività di cui all'art. 2, comma 1, indipendentemente dal loro valore".

L'art. 7 definisce proprio in termini di "equipollenza" con la documentazione antimafia dell'iscrizione nella white list, sia per le attività che hanno giustificato tale iscrizione, che per le attività diverse.

Il valore della white list e la assimilazione alle interdittive

Non si discute che la funzione della white list sia quella di approntare una tutela anticipata e più incisiva in determinati settori sensibili, obbligando le imprese interessate ad acquisire commesse pubbliche a sottoporsi di propria iniziativa ai controlli circa l'assenza di possibili infiltrazioni mafiose, e che sia proprio questa caratteristica a giustificare il nuovo strumento (altrimenti mero "doppione" della preesistente documentazione antimafia).

Pertanto, pur ribadendosi che le stazioni appaltanti debbano senz'altro prevedere nel disciplinare l'iscrizione alla white list alla stregua di condizione di partecipazione, l'omissione di una clausola siffatta non costituisce una lacuna della lex specialis rispetto ad una regola imperativa chiara ed inequivoca che sia necessario colmare attraverso il meccanismo dell'etero-integrazione, né comunque impedisce il raggiungimento del risultato di interesse pubblico cui è preordinato lo svolgimento della specifica gara.

Ne discende che non può dubitarsi del fatto che il suindicato reticolo normativo costituisca una valida base giustificativa a supporto della previsione degli adempimenti prescritti – tra cui quello della iscrizione alla white list – come requisito di partecipazione alla procedura di gara a pena di esclusione (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. III, 3 aprile 2019, n. 2211; id., 20 febbraio 2019, n. 1182; Cons. Stato, sez. III, 14.12.2022 n. 10935).

Ecco perché il diniego di iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (cd. white list) è disciplinato dagli stessi principi che regolano l'interdittiva antimafia, in quanto si tratta di misure volte alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione (Cons. Stato, sez. I, 1 febbraio 2019, n. 337; id. 21 settembre 2018, n. 2241).

Ha chiarito il Consiglio di Stato (20 febbraio 2019, n. 1182; 24 gennaio 2018, n. 492) che le disposizioni relative all'iscrizione nella cd. white list formano un corpo normativo unico con quelle dettate dal codice antimafia per le relative misure antimafia (comunicazioni ed informazioni) tanto che, come chiarisce l'art. 1, comma 52-bis, l. n. 190 del 2012, introdotto dall'art. 29, comma 1, d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 114 del 2014, "l'iscrizione nell'elenco di cui al comma 52 tiene luogo della comunicazione e dell'informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per la quali essa è stata disposta"; "l'unicità e l'organicità del sistema normativo antimafia vietano all'interprete una lettura atomistica, frammentaria e non coordinata dei due sottosistemi – quello della cd. white list e quello delle comunicazioni antimafia – che, limitandosi ad un criterio formalisticamente letterale e di cd. stretta interpretazione, renda incoerente o addirittura vanifichi il sistema dei controlli antimafia".

Come ribadito, l'informazione antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell'autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell'impresa.

Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell'accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere "più probabile che non", appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa.

Ha aggiunto sempre il Consiglio di Stato che lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 – ha riconosciuto quale elemento fondante l'informazione antimafia la sussistenza di "eventuali tentativi" di infiltrazione mafiosa "tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle imprese interessate".

Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell'impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.

Il pericolo di infiltrazione mafiosa è, dunque, la probabilità che si verifichi l'evento. L'introduzione delle misure di prevenzione è stata dunque la risposta cardine dell'ordinamento per attuare un contrasto all'inquinamento dell'economia sana da parte delle imprese che sono strumentalizzate o condizionate dalla criminalità organizzata (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758).

In tale direzione la verifica della legittimità dell'informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un'ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del "più probabile che non", integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso) e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).

Ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d'altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).

Da quanto sopra esposto consegue che anche in relazione al diniego di iscrizione nella white list – iscrizione che presuppone la stessa accertata impermeabilità alla criminalità organizzata – è sufficiente il pericolo di infiltrazione mafiosa fondato su un numero di indizi tale da rendere logicamente attendibile la presunzione dell'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

ANAC e Comunicato del Presidente del 17 gennaio 2023

La conferma della impostazione dei giudici, sia amministrativi che penali, arriva da ANAC che ha fornito alcuni chiarimenti.

Precisa ANAC che il criterio utilizzato dal legislatore per individuare i soggetti tenuti all'iscrizione alla c.d. white list riguarda la tipologia di attività esercitata: infatti il comma 52 si riferisce alle "attività imprenditoriali" maggiormente esposte a tentativo di infiltrazione mafiosa, il cui elenco viene dato poi al successivo comma 53.

Per tali attività, la comunicazione e l'informazione antimafia sono obbligatoriamente acquisite dai soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, del d.Lgs. n. 159/2011 attraverso la consultazione del suddetto elenco.

Inoltre gli articoli 2 e 7 del D.P.C.M. del 18 aprile 2013, come aggiornato dal successivo D.P.C.M. 24 novembre 2016 subordinano la stipula, l'approvazione o l'autorizzazione di contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, all'iscrizione all'interno della white list, laddove l'obbligo di iscrizione sorge solo per l'affidamento di lavori, servizi e forniture che rientrino nelle attività maggiormente a rischio di infiltrazione mafiosa. In questi settori, l'iscrizione alla white list costituisce una modalità particolare di effettuazione delle verifiche antimafia prevista dalla legge.

Prosegue, poi, che le disposizioni non fanno differenza se le attività maggiormente esposte al tentativo di infiltrazione mafiosa siano l'oggetto principale della procedura di gara, oppure costituiscano attività secondarie o accessorie, né a seconda dell'eventuale utenza finale. Allo stesso modo, non è possibile evincersi una gradazione normativa dal punto di vista quantitativo delle attività menzionate, al fine di determinare l'obbligo di iscrizione nell'elenco prefettizio.

Ne consegue che se il bando di gara preveda, quale attività oggetto della procedura di affidamento, delle attività anche solo parzialmente riconducibili a quelle elencate all'interno del comma 53 dell'articolo 1 legge n. 190 del 2012, l'operatore economico è tenuto a richiedere l'iscrizione alle white list della prefettura territorialmente competente e la stazione appaltante è tenuta ad accertare che l'impresa che vi partecipi, e che dichiari di eseguirle, risulti iscritta all'interno del suddetto elenco. Stessa conclusione nel caso che le attività annoverate dal comma 53 dell'articolo 1 legge n. 190 del 2012 siano strumentali, accessorie o connesse alla prestazione oggetto dell'affidamento.

Come evidenzia ANAC, ragionare diversamente, infatti, porterebbe all'elusione del sistema dei controlli antimafia e della ratio che ne costituisce il fondamento, poiché lo svolgimento dell'attività oggetto dell'affidamento sarebbe resa possibile solamente attraverso l'espletamento di attività a rischio di infiltrazione mafiosa.

La conferma della Cassazione Penale: la mancata iscrizione alla white list antimafia equivale all'interdittiva

La mancata iscrizione nella white list dei prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti al rischio di infiltrazione mafiosa va considerato equivalente ad un'interdittiva antimafia. L'azienda ha dunque diritto al controllo giudiziario, per evitare di essere posta in liquidazione con il licenziamento dei dipendenti.

La Cassazione ( Suprema Corte Sezione II Penale, con sentenza n. 2156 depositata il 19.01.2023 ) accoglie il ricorso di una Srl, attiva nel settore dello smaltimento dei rifiuti, contro il decreto con il quale la Corte d'Appello, in linea con il Tribunale, aveva respinto la richiesta di accesso al controllo giudiziario, in assenza di un'interdittiva antimafia. Provvedimento - ad avviso dei giudici di merito come del procuratore generale - senza il quale non poteva essere disposto il controllo giudiziario.

La Suprema Corte, con una sentenza costituzionalmente orientata arriva a parificare le due condizioni. I giudici di legittimità analizzano la natura cautelare e preventiva dell'interdittiva antimafia e i suoi effetti, a partire dall'inidoneità del destinatario ad essere titolare di alcune situazioni giuridiche soggettive.

Quanto alla white list la Suprema Corte rammenta che questa riguarda le imprese che operano in delicati settori delle opere pubbliche, più esposti. Ad avviso della Cassazione i presupposti che legittimano il diniego di iscrizione nella white list sono gli stessi che fanno scattare l'interdittiva antimafia. Circostanza che deve portare ad affermare «una sostanziale equiparazione tra i due istituti, con la differenza che il primo consegue ad un procedimento promosso dal privato, la seconda ad un procedimento attivato d'ufficio».

Merita una menzione la riflessione del procuratore generale che dubita della sovrapponibilità dei due "sottosistemi". Ciò in quanto da un canto l'informativa antimafia è uno strumento generale riferibile a qualsiasi attività economica, la cui adozione determina, in via cautelare, una incapacità ad avere rapporti contrattuali con la Pa, precludendo anche l'accesso a finanziamenti ed erogazioni., mentre il diniego di iscrizione alla white list, riguarda solo alcuni settori imprenditoriali, preclude solo lo svolgimento di determinate attività e non di altre.

Resta fermo però, per i giudici, che entrambi i provvedimenti si fondano sulla sussistenza di un pericolo di infiltrazione mafiosa o di condotte agevolative delle cosche ed hanno gli stessi effetti lesivi per l'impresa e va dunque assicurata una parità di trattamento ed eliminata una disparità irragionevole.

Il nuovo Codice e la mancanza delle white list tra le cause di esclusione automatiche e l'incompiuta anche alla luce della riforma Cartabia

Nell'ambito del nuovo Codice , quanto meno nella bozza attuale, non è stata introdotta la white list. Si auspica in sede parlamentare venga degnamente approntata una integrazione in tal senso.

Ma non solo. Nella versione attuale delle cause di esclusione automatiche non vi è un perfetto coordinamento con le previsione della riforma Cartabia nella quale il legislatore ha modificato l'art. 445 comma 1-bis del codice di procedura penale, prevedendo, fra l'altro, che "se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall'art. 444 co. 2 c.p.p. alla sentenza di condanna".

Questa previsione, ancora dagli amministrativisti poco apprezzata, ha effetti pratici importanti perchè significa che salvo il caso in cui sia il giudice penale, con la sentenza di patteggiamento, a disporre una "pena accessoria" (ad es. l'interdizione dai pubblici uffici, da una professione o dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese), la sentenza di patteggiamento in sede extra-penale non può essere equiparata ad una sentenza di condanna.

Questo ha una rilevanza anche su iscrizioni, o meglio, provvedimenti di diniego di iscrizione, quale quello in oggetto?

In altri termini, lo schema definitivo al vaglio delle Camere continua ad equiparare la sentenza di patteggiamento a quella di condanna vanificando la portata dell'art. 445 comma 1-bis del codice di procedura penale , che – come evidenziato – ha come precipuo scopo quello di incentivare il ricorso all'istituto del patteggiamento in una logica deflattiva della giustizia penale.

I casi che rilevano della istruttoria per il rilascio della iscrizione in white list possono riguardare anche queste ipotesi di nuova definizione della pena alternativa?

Dovrebbe esser così, ma è evidente che, ove la previsione del Codice degli Appalti non dovesse ritenersi priva di effetto in applicazione dell'art. 445 comma 1 bis più volte menzionato, l'operatore interessato da una sentenza di applicazione della pena su richiesta si troverebbe a correre un rischio di esclusione dalle procedure di gara, con evidente impatto in termini di operatività aziendale.

Considerata la tassatività della legge penale, si dovrà sicuramente intervenire per non porre le stazioni appaltanti in difficoltà e gli operatori economici in condizione di non subire provvedimenti sfavorevoli, che nel caso di mancata iscrizione hanno un peso rilevante per la sopravvivenza dell'impresa.

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*A cura dell'Avv. Francesca Petullà, Studio Legale Petullà - Partner 24 ORE Avvocati
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