Lavoro

“Lavoro autonomo” fittizio, scatta il risarcimento pieno dalla messa in mora

Per la Cassazione, sentenza n. 17450 depositata oggi, se viene accertata la natura subordinata non si applica il regime indennitario (art. 32 legge n. 183/2010) bensì quello risarcitorio

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di Francesco Machina Grifeo

In caso di illegittima reiterazione di contratti di lavoro autonomo che tali in realtà non sono, nascondendo un rapporto di natura subordinata, scatta il risarcimento integrale - per il diverso rapporto previsto dalla legge - e non dunque il semplice indennizzo (tra 2,5 e di 12 mensilità, previsto dal “Collegato lavoro”). L’indennizzo infatti è previsto soltanto nel caso della reiterazione di contratti a termine, in cui quindi viene riconosciuta (almeno) la natura subordinata del rapporto. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 17450 depositata oggi, accogliendo il ricorso di una giornalista il cui rapporto era cessato dopo essere stata impiegata come lavoratrice autonoma per oltre 12 anni in un programma di punta della Rai.

La Corte di appello (nel 2021) accogliendo il ricorso della donna aveva dichiarato sussistente un rapporto subordinato a tempo indeterminato di natura giornalistica dal settembre 2002, condannando la Rai a riammetterla in servizio con la qualifica di redattore ordinario con più di 30 mesi di anzianità, ma prevedendo il pagamento di una indennità risarcitoria ex art. 32 L. n. 183/2010, che poi liquidava in sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Contro questa decisione la giornalista ha proposto ricorso chiedendo l’integrale risarcimento del danno e non soltanto l’indennità risarcitoria forfettaria ed omnicomprensiva. E la Sezione lavoro le ha dato ragione affermando il seguente principio di diritto: “Nel caso di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro al cospetto di un contratto stipulato dalle parti come formalmente di lavoro autonomo, non trova applicazione il regime indennitario dettato dall’art. 32 L. n. 183/2010, bensì quello risarcitorio a decorrere dalla costituzione in mora”.

Il regime indennitario, spiega infatti la decisione, “non si applica all’ipotesi di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato al cospetto di un contratto di lavoro autonomo a termine dichiarato illegittimo, riguardando quel regime soltanto i contratti di lavoro subordinato a termine e le altre tipologie contrattuali previste dai commi 3 e 4 dell’art. 32 cit., tra cui non rientrano i contratti di lavoro autonomo”.

Su questa linea si è mossa anche la Corte costituzionale (sentenza n. 303/2011) che – ritenendo legittima la forfetizzazione del danno nei casi di conversione del contratto (di lavoro subordinato) a tempo determinato – ha escluso la sussistenza di profili di discriminazione tra fattispecie, evidenziando che “il contratto di lavoro subordinato con una clausola viziata (quella, appunto, appositiva del termine) non può essere assimilato ad altre figure illecite come quella, obiettivamente più grave, dell’utilizzazione fraudolenta della collaborazione continuativa e coordinata”.

Il giudice delle leggi ha, dunque, tenuto distinte, da una parte, le ipotesi di conversione di un contratto di lavoro subordinato a termine in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, dall’altra, la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato, a seguito di illegittima stipulazione di contratto di lavoro autonomo. Ed ha escluso l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, co. 5, L. n. 183/2010 proprio in considerazione della insuscettibilità della omologazione di fattispecie diverse nella previsione legislativa, da circoscriversi all’applicazione ai rapporti di lavoro stipulati, ab origine, come subordinati.

E non cambia le cose neppure l’opposta conclusione in tema di lavoro a progetto. In quel caso infatti, spiega la decisione, si è al cospetto di una fattispecie di “conversione” ex lege dovuta alla mancanza di un elemento formale nel contratto – e cioè lo specifico progetto -, che il legislatore sanziona considerando il rapporto come di natura subordinata senza possibilità di prova contraria (n. 22146/2023).

Caso del tutto diverso, conclude la Corte, è l’accertamento della natura subordinata del rapporto nel suo concreto svolgimento (art. 69, co. 2, d.lgs. cit.). Dove al giudice è demandata la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, sulla base di indici rivelatori, anche in senso difforme dal contratto formalmente stipulato come di lavoro autonomo.

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