Lavoro

Lavoro per obiettivi e licenziamento: il ruolo della valutazione della performance lavorativa

La nota vicenda della docente dispensata dal servizio per incapacità didattica offre l'occasione per riflettere sul tema del licenziamento per "poor performance", la cui legittimità è ancora limitata a ipotesi sporadiche

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di Michele Giammusso*

È nota la vicenda della docente dispensata dal servizio per "incapacità didattica", vicenda che è stata risolta in via definitiva dalla sentenza di Cassazione n. 17897/2023 .
Nello specifico, l'insegnante è stata dispensata dal servizio in forza dell'art. 512 del D.lgs. n. 297/1994 (TU Istruzione), norma che prevede la possibilità di licenziare un docente (anche) in caso di permanente e assoluta "incapacità didattica".

La sentenza in esame - concordemente agli altri precedenti in materia, cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., n.6742/2022 - ci dice che la dispensa dal servizio per incapacità didattica è un provvedimento che ha natura oggettiva e che quindi "non ha carattere sanzionatorio", ma "si limita a constatare l'oggettiva inidoneità a svolgere la funzione di insegnante".

Ciò che può apparire paradossale, dunque, è il fatto che il provvedimento di dispensa dal servizio "non discende da comportamenti colpevoli dell'insegnante", così come il fatto che le numerose assenze della docente sono state ritenute irrilevanti al fine della valutazione della sua (in)capacità didattica (anzi, nella citata vicenda la docente eccepiva che, date le numerose assenze, un periodo di insegnamento così breve fosse insufficiente a dimostrare la propria incapacità didattica).

In sostanza il licenziamento per incapacità didattica non si fonda su una negligenza colpevole da parte dell'insegnante ma è un provvedimento che h a natura oggettiva e che necessita la prova di fatti di massima gravità (utili a dimostrare una "inettitudine assoluta e permanente" del docente). Appare evidente che non si tratta di un'effettiva valutazione della performance, ossia della valutazione di un risultato da raggiungere o della qualità della prestazione lavorativa, quanto piuttosto della verificazione di fatti eccezionali e oggettivamente insuperabili.

A onor del vero la citata normativa prevede che il lavoratore possa essere dispensato anche per "persistente insufficiente rendimento", ma si tratta di una fattispecie ancor più residuale di quella già esaminata, in quanto presuppone attività di monitoraggio e di valutazione delle performance quasi sempre assenti nel pubblico impiego.

Difatti nei rarissimi casi in cui si è fatta applicazione di detto istituto ci si è trovati davanti a "rapporti annuali sul rendimento in servizio" o all'attribuzione ai lavoratori di specifici "punteggi" (es. buono, mediocre, etc.), casi per l'appunto più unici che rari (cfr. T.A.R. Bologna, sez. I, 21/02/2019, n.174, in riferimento alla dispensa dal servizio di un dipendente della Polizia Penitenziaria).

Venendo alla disciplina del lavoro privato, anche qui fatica a trovare spazio la valutazione della prestazione lavorativa e, di conseguenza, è quasi a ssente il licenziamento fondato sul mancato raggiungimento degli obiettivi (licenziamento c.d. per scarso rendimento o poor performance).

Il rapporto di lavoro, infatti, è ancora molto incentrato sulla presenza al lavoro e poco su risultati da raggiungere; pertanto, il licenziamento per scarso rendimento è relegato a casi eccezionali.

In particolare, ai fini della legittimità del licenziamento per poor performance, occorre dimostrare che vi sia una netta sproporzione tra i risultati ottenuti e gli obiettivi assegnati al lavoratore e ciò attraverso l'utilizzo del parametro del rendimento medio registrato da altri lavoratori con analoghe funzioni (cfr., Cass. Civ., Sez. Lav., n. 9453/2023 , che riguarda il caso di un dipendente che, incaricato di acquisire clienti, aveva effettuato solo 16 visite a fronte delle 120 dei colleghi di pari grado e con analoghe mansioni).

Inoltre, deve essere accertato che detta sproporzione sia imputabile alla negligenza del lavoratore e non anche a fattori organizzativi aziendali o ambientali (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., n. 26676/2017 , dove un venditore licenziato per scarso rendimento eccepiva che il mancato raggiungimento degli obiettivi di vendita a lui assegnati fosse da ritenere imputabile all'azienda per "la mancanza di statistiche di vendite, così come di procedure di contatto e strategie di vendita").

Infine, lo scarso rendimento non può riguardare un singolo episodio o sporadici casi ma è necessario che vi sia un "congruo periodo di osservazione per valutare la condotta del lavoratore" (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., n. 14310/2015 , dove è stato ritenuto congruo un periodo di osservazione di sei mesi).

Insomma, anche nella disciplina del lavoro privato, essendoci poco spazio per la valutazione la performance lavorativa, la legittimità del licenziamento per mancato raggiungimento degli obiettivi è limitata a ipotesi sporadiche.

Sarebbe forse opportuno pianificare gli obiettivi per i lavoratori e monitorare i risultati attesi; bisognerebbe in sostanza misurare la performance lavorativa e valorizzare il lavoro per obiettivi: questo, in maniera plausibile, consentirebbe di migliorare l'organizzazione e la produttività del lavoro e forse anche la qualità della vita dei lavoratori.

Inoltre, lavorare per obiettivi taglierebbe alla radice molti dei problemi connessi alla (mera) presenza al lavoro come, ad esempio, quello della necessità di giustificare le assenze e del conseguente rilievo disciplinare delle assenze ingiustificate.

Se, ad esempio, l'attività lavorativa venisse sottoposta a valutazione, le assenze dal lavoro avrebbero sì un rilievo ma solo se e nella misura in cui avessero impatto sulla performance lavorativa, ossia, in un caso come quello in esame, sulla qualità dell'insegnamento. E probabilmente senza la necessità di un percorso giudiziario lungo sei anni.

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*A cura di Michele Giammusso, Avvocato Giuslavorista

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