La valenza disciplinare del silenzio su situazioni medico-sanitare non esternate, alcune considerazioni
La Giurisprudenza in materia è circoscritta e tuttavia, pur riconoscendo una qualche valenza disciplinare, sembra orientata a valorizzare diverse circostanze che possano ridurre l’imputabilità dell’inadempimento da parte del lavoratore
Di recente la cronaca ha riportato il caso di un medico di pronto soccorso che avrebbe abbandonato il presidio ospedaliero in un momento di massima affluenza con pregiudizi all’utenza.
L’Ospedale (committente del professionista) ha ritenuto il comportamento sufficiente per recedere dalla collaborazione in essere. Interpellato, il medico in questione avrebbe riferito di essersi dovuto allontanare per sottoporsi egli stesso a trattamenti sanitari (qualificati come indifferibili) afferenti a pretese patologie che tuttavia sarebbero state ignote all’Ospedale.
A prescindere dagli accertamenti circa il caso concreto e dall’esito di un eventuale contenzioso, il tema sotteso è meritevole di attenzione. Fermo restando che il datore di lavoro deve adottare tutte le misure per proteggere i propri dipendenti, questi che obblighi hanno per coadiuvare in questo compito il datore di lavoro? Soprattutto cosa accade in caso di dichiarazioni non veritiere al medico competente circa il proprio stato di salute?
Il tema è vastissimo e la norma cardine èl’art. 2087 del codice civile che storicamente è stato sempre un ampio contenitore di diritti e doveri in materia di protezioni dello stato di salute del dipendente e le articolate prescrizioni a ciò conseguenti tra cui quelle di cui al c.d. «Testo Unico» di cui al d. lgs 81/2008.
Se da un lato il datore di lavoro è tenuto a garantire tali protezioni, ad esso è precluso di conoscere o indagare lo stato di salute dei propri dipendenti (art. 8 St. Lav.) né in caso di malattia gli è data la possibilità (essendo quindi vietato) di conoscerne le diagnosi.
La violazione dell’obbligo comporta (pesanti) ricadute e sanzioni anche in tema di privacy
La legge (e così il T.U. ma non solo) impone tuttavia anche ai dipendenti oneri precisi. Si tratta nello specifico degli obblighi dei lavoratori previsti dall’art. 20 del Testo Unico. Il primo e fondamentale dovere è quello – generale - di “prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro” (art. 20, comma 1). Tale obbligo è poi declinato in concreto con molteplici disposizioni dal contenuto più puntuale che gravano sui lavoratori e che sono indicate nel comma 2 dell’art. 20.
In particolare, il Testo unico prescrive che i dipendenti debbano “Sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque disposti dal medico competente” (art. 20, comma 2, lett. i) del T.U.).
Tra questi controlli vi sono quelli di cui all’art. 41 del Testo Unico, disposti dal medico competente, con lo scopo di verificare l’idoneità del lavoratore rispetto alla mansione specifica, tenuto conto anche di eventuali patologie e in generale delle situazioni di salute del dipendente (c.d. «sorveglianza sanitaria»)
Nell’ambito dei controlli di cui all’art. 41, disposti dal medico competente, ed in forza degli obblighi anzidetti i dipendenti devono senz’altro tenere un comportamento consono ai principi generali e dunque prima di tutto comportarsi secondo buona fede e correttezza (art. 1375 c.c.). Eventuali omissioni o incompletezze potrebbe essere rilevanti in questo senso. Ci riferiamo, per essere chiari, al dovere, non espressamente codificato ma vigente – di segnalare malattie o situazioni fisiche, morbose o meno, che potrebbero indurre a fragilità e a rischi per la salute propria e altrui.
Ci si può domandare quali siano le possibili conseguenze di tali omissioni
La gravità dell’inadempimento può variare ovviamente caso per caso e anche e soprattutto a seconda delle conseguenze che in certi casi potrebbero essere meramente potenziali ovvero potrebbero riguardare il solo lavoratore interessato ma che in altri casi potrebbero infine coinvolgere terzi.
La Giurisprudenza in materia è circoscritta e tuttavia pur riconoscendo una qualche valenza disciplinare del silenzio su situazioni medico-sanitare non esternate, sembra orientata a valorizzare diverse circostanze che possano ridurre l’imputabilità di un simile inadempimento al lavoratore.
Ad esempio, il Tribunale di Ivrea sezione lavoro con sentenza del 23 agosto 2019, n. 118 aveva confermato una sanzione disciplinare (sospensione dal lavoro e dalla retribuzione) comminata da una Azienda di trasporti ferrotranvieri ad un proprio dipendente (che svolgeva mansioni di linea) il quale aveva «nascosto il Suo stato patologico pregresso, significativo rispetto alle Sue mansioni, al fine di alterare la decisione del Medico Competente e così di ottenere l’assunzione».
Nel caso di specie era poi risultato che proprio in ragione della patologia (sottaciuta al medico competente) il dipendente in questione non riusciva più a svolgere proficuamente i compiti assegnati.
La Corte d’appello di Roma (confermando una pronuncia di primo grado) aveva invece disposto la reintegrazione in servizio di un dipendente licenziato a fronti di simili addebiti.
L’Azienda in questione (operante nel settore della Logistica e trasporti) aveva contestato (e successivamente licenziato) il dipendente in questione in quanto in sede di visita medica pre-assuntiva per valutare l’idoneità al lavoro notturno aveva omesso di segnalare al medico competente di soffrire di epilessia.
Il Tribunale prima e la Corte d’appello poi hanno escluso qualsiasi rilevanza disciplinare di una tale condotta e ciò anche su presupposti specifici del caso di specie. In particolare, per giungere a tale valutazione i Giudici avevano potuto constatare che la patologia asseritamente sottaciuta non avesse manifestato sintomi per oltre 15 anni e ciò rendeva plausibile che il lavoratore non l’avesse, soltanto per tale ragione, menzionata al medico competente.
Ad avvalorare tale conclusione secondo la Corte d’Appello vi sarebbe in ultima analisi «una condotta trasparente, così come trasparenti sono le giustificazioni rese in sede disciplinare, che escludono qualsiasi tipo di intenzionalità nel tacere la pregressa patologia di cui, peraltro, l’odierno appellato non aveva cognizione che potesse essere influenzata dal ritmo sonno – veglia». E ciò è stato ritenuto dirimente fino al punto di ritenere non disciplinarmente rilevanti i comportamenti del dipendente.
Il tema in questione e le molteplici implicazioni che ne derivano sono quindi particolarmente delicate perché riguardano valori primari quali la salute del singolo tanto quanto della collettività aziendale. Ciò deve necessariamente conciliarsi anche con valori altrettanto fondamentali quali la diligenza e la correttezza che ciascun lavoratore è tenuto comunque a garantire nei confronti del proprio datore di lavoro.
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*Avv. Alessandro Daverio, socio dello Studio Daverio & Florio